In Giappone, a Tokyo, si sta celebrando in questi giorni il processo al 29enne Takahiro Shiraishi, soprannominato dalla stampa locale e internazionale “il killer di Twitter”. Egli è accusato di avere adescato sul web, per poi ammazzarle e smembrarle, nove persone, di età compresa tra i 15 e i 26 anni, che avevano in precedenza manifestato sui social l’intenzione di suicidarsi. L’imputato, per il momento, non ha affatto contestato i capi di imputazione formulati nei suoi riguardi dai magistrati della capitale, rivendicando al contrario la “correttezza” delle accuse avanzate a suo carico dagli inquirenti. Tornando al tema dei suicidi nel Paese asiatico, quest’ultimo ha il più alto tasso di auto-uccisioni tra i paesi industrializzati del G7, con oltre 20mila casi l'anno, in calo però rispetto ai macabri picchi registrati nel 2003.
Takahiro Shiraishi era balzato agli onori della cronaca nera nipponica venendo arrestato dopo che la polizia, la mattina di Halloween del 2017, aveva effettuato un blitz in casa del primo. Nell’abitazione del 29enne, le forze dell’ordine avevano appunto trovato allora un vero e proprio scenario da film dell’orrore: nove corpi smembrati e 240 pezzi di loro ossa nascosti in congelatori e cassette degli attrezzi, nonché cosparsi di lettiera per gatti nel tentativo di nasconderne l'odore. Gli agenti erano risaliti alle responsabilità di Takahiro al termine di scrupolose indagini scattate in seguito alla scomparsa di una 23enne che aveva twittato di volersi suicidare. Una volta sparita quella ragazza, il fratello della malcapitata era riuscito a entrare nel profilo Twitter della prima, notando un nome-utente sospetto nella chat personale della giovane scomparsa. Tale nome misterioso sarebbe stato quindi associato in seguito dalla polizia al “mostro”. Gli investigatori avrebbero di conseguenza, indizio dopo indizio, ricostruito il modo in cui l’assassino utilizzava proprio il social americano per mettere in atto il suo piano criminale.
Takahiro tendeva infatti a contattare su quella piattaforma persone fragili e che sembravano avere tendenze suicide, dicendo di poterle aiutare nei propri piani per farla finita o addirittura di volere morire insieme a loro.
In questi giorni di svolgimento del processo ai danni del “mostro”, davanti al tribunale di Tokyo si stanno accalcando migliaia di persone intenzionate ad assistere alle varie udienze, ma pochissimi fortunati riusciranno a sedersi in aula come pubblico durante il dibattimento, ossia soltanto 13 cittadini.
Dopo che l’imputato si è ultimamente dichiarato colpevole di avere ammazzato e smembrato nove innocenti, i suoi avvocati hanno subito presentato alla Corte un’istanza affinché il reato a carico del “mostro” venga derubricato da “omicidio”, per cui la legge giapponese commina la pena di morte, a “omicidio con consenso", che comporta una condanna a non oltre sette anni di carcere.
Avanzando tale formale richiesta ai giudici, i legali di Takahiro hanno fatto presente al tribunale che le vittime erano tutte persone che avevano in precedenza “acconsentito a essere uccise” manifestando sul web l’intenzione di farla finita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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