I venezuelani in piazza in tutto il mondo contro il governo Maduro

Contro le violenze e la repressione dura alle proteste, ieri i venezuelani sono scesi in piazza in tutto il mondo. Anche a Roma

I venezuelani in piazza in tutto il mondo contro il governo Maduro

Nelle ultime settimane il Venezuela è stato travolto da un’ondata di violenza caratterizzata dagli scontri fra manifestanti, forze di sicurezza e simpatizzanti del governo, che hanno macchiato le strade delle principali città venezuelane col sangue di più di 30 vittime.

Contro le violenze e la repressione dura alle proteste, ieri i venezuelani sono scesi in piazza in tutto il mondo. Anche a Roma (guarda il video), dove diverse centinaia di persone si sono radunate a piazza San Giovanni per chiedere nuove elezioni e lo stop alla "dittatura atroce" che si è instaurata nel Paese (guarda le foto).

Si tratta delle maggiori proteste registrate nel paese dal dicembre 2014 quando, per motivi analoghi, le opposizioni scesero in piazza chiedendo le dimissioni del presidente Nicolas Maduro, identificato come principale responsabile della profonda crisi che sta lentamente strozzando il paese ed i suoi abitanti. Negli ospedali mancano le medicine mentre nei supermercati trovare latte e beni di prima necessità è praticamente impossibile. Infatti, nel tentativo di frenare l’inflazione (oggi all’800%), con un “editto presidenziale” Maduro l’anno scorso impose dei prezzi fissi ma, anziché aiutare lo popolazione, ottenne l’effetto contrario, obbligando numerosi esercizi commerciali a chiudere.

A innescare l’escalation di violenza è stato il tentativo del Tribunal Supremo de Justicia (da molti considerato un organo nelle mani dei dirigenti del governo) di assimilare i poteri dell’Asamblea Nacional (nda, parlamento venezuelano), per la prima volta nelle mani dell’opposizione dall’elezione di Hugo Chavez nel 1999. Il TSJ, con una serie di sentenze ha prima ridotto il parlamento ad un mero organo simbolico-politico privato di potere legislativo, e poi ha tolto l’immunità parlamentare ai deputati. In molti hanno gridato al golpe e alla fine dell’ordine democratico. Le opposizioni hanno infiammato le piazze e a nulla è servito il ritiro delle sentenze 155 e 156 per “descato”, ossia per ribellione. La frittata ormai è fatta.

Lo stato, che aveva fatto della rivoluzione bolivarista la propria bandiera, col tempo ha visto gli ideali di eguaglianza cedere il passo al populismo e all’inettitudine che, prima con Chavez e poi con Maduro, hanno portato un paese ricchissimo di petrolio sul bordo del collasso.

Sicuramente l’utilizzo da parte del governo dei “colectivos”, gruppi paramilitari filogovernativi istituiti dallo stesso Chavez, per reprimere le proteste di un popolo affamato, non hanno aiutato gli indici di gradimento di Maduro che, al momento, gode di scarsa popolarità anche all’estero. Cile, Messico ed altri paesi dell’America Latina, proprio in risposta alle delibere del Tribunal Supremo de Justicia, hanno infatti espresso forti dubbi sull’attuale stato della democrazia in Venezuela mentre il Perù ha addirittura ritirato il suo ambasciatore da Caracas. E mentre la politica internazionale isola sempre di più il presidente Maduro, in Italia e nel mondo numerosi venezuelani residenti all’estero stanno organizzando sit-in e manifestazioni di protesta per denunciare le violazioni dei diritti umani, gli abusi e l’oppressione nel loro paese d’origine.

E se da una parte le opposizioni dalla piazza fanno sapere che le manifestazioni andranno avanti ad oltranza fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati, fra cui il principale è la richiesta di elezioni anticipate (il mandato elettorale di Maduro scade nel 2018), dall’altra il governo risponde che le proteste sono il frutto di

un’operazione golpista i cui fili vengono manovrati da attori esterni con lo scopo di sopprimere la sovranità popolare. Il risultato al momento è il clima di caos e anarchia che sta trascinando il paese verso la guerra civile.

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