Nella Federazione Russa, due giorni dopo l’abbattimento del jet da parte dei turchi, tutti sono convinti che non si sia trattato di un semplice incidente. Ma di un’operazione premeditata. Come del resto aveva affermato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, rispondendo alle domande dei cronisti di tutto il mondo a Mosca.
Per il quotidiano russo Izvestia, si tratterebbe addirittura di “una chiara provocazione finalizzata ad aggravare il conflitto in Siria”. Il perché, è spiegato sullo stesso quotidiano in un’analisi del professor Aleksander Sotnichenko, ordinario di relazioni internazionali all’Università statale di San Pietroburgo ed esperto di relazioni russo-turche. Sotnichenko afferma che l’abbattimento da parte turca del Su-24 russo, sarebbe una “risposta di Ankara ai pesanti bombardamenti russi avvenuti nei gironi scorsi nei villaggi turcomanni del nord della Siria”. Bombardamenti rivolti in particolare contro i ribelli turcomanni della brigata del sultano Abdul Hamid, che si erano verificati già nello scorso mese di ottobre. Il 20 novembre però, Ankara aveva addirittura convocato l’ambasciatore russo per chiedere di interrompere immediatamente i “serrati” raid russi sui villaggi turcomanni al confine con la Turchia, che avevano provocato l’esodo di 1.500 appartenenti a questa minoranza etnica turca, riversatisi nel sud-est della Turchia. Il giorno prima dell’abbattimento del jet russo, il premier turco Ahmet Davutoglu, aveva inoltre chiesto la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e lo stesso giorno, sempre il premier turco, citato dal quotidiano "Hurriyet", aveva dichiarato di essere “pronto a tutto per proteggere la minoranza turcomanna”, fino anche ad “intervenire in Siria".
Oltre alla protezione della minoranza turca in Siria, però, Ankara sembra avere particolarmente a cuore anche la protezione della brigata del sultano Abdul Hamid e quella degli altri miliziani turcomanni che combattono, con il benestare del “sultano” Erdogan, sia il governo di Assad, sia l’Isis. Gli stessi che lunedì scorso avevano ingaggiato con le forze dell’esercito siriano regolare duri combattimenti nella zona a forte presenza turcomanna di Bayirbucak, e gli stessi che il giorno seguente hanno, secondo le ricostruzioni più attendibili, colpito a morte uno dei due piloti del Su-24 di Mosca. Un gruppo che, inoltre, combatte fianco a fianco con l’Esercito libero siriano e gli altri gruppi ribelli fondamentalisti, come al-Nusra - ovvero Al Qaeda - e il raggruppamento salafita Ahrar al-Sham. Il sostegno della Turchia a questi gruppi, infatti, ormai, non è più così nascosto. Tanto che oggi, alcuni media curdi e la tv libanese “al Maiadin”, hanno dato notizia del bombardamento da parte russa di un convoglio partito dalla Turchia, carico di armi dirette a rifornire proprio al-Nusra e Ahrar al Sham, impegnati in intensi combattimenti contro le truppe di Assad ad Aleppo.
Ma il vero obiettivo di Ankara per favorire l’azione dei gruppi ribelli sostenuti dalla presidenza Erdogan, sarebbe l’istituzione di una no-fly zone al confine turco-siriano. Questo infatti, permetterebbe ai ribelli anti-Assad di sottrarsi al fuoco dei raid aerei russi, e consentirebbe loro di recuperare terreno. Come afferma il prof. Sotnichenko, infatti, Ankara subito dopo l’incidente ha preso contatti con la Nato, anziché risolvere la questione direttamente con la Russia, proprio “per proporre agli alleati atlantici l’istituzione di una zona di sicurezza aerea al confine, nel caso di una risposta simmetrica da parte di Mosca” all’abbattimento del Sukhoi 24. Una proposta che da tempo è nei sogni delle due potenze sunnite, Turchia e Arabia Saudita, e alla quale, del resto, lo scorso 20 novembre, si era dichiarata favorevole anche la candidata democratica alla presidenza Usa ed ex Segretario di Stato americano, Hillary Clinton. A parere dell’esperto russo, se una proposta del genere venisse avallata dagli Stati Uniti e dall'Occidente, il rischio sarebbe quello di creare i presupposti per una “spartizione della Siria”, che avrebbe come conseguenza la radicalizzazione di un conflitto etno-confessionale che si protrarrebbe in modo incontrollato nei decenni a venire.
Mosca quindi, non cerca la guerra con Ankara, e probabilmente la risposta di Putin all'abbattimento del caccia russo sarà di tipo multilaterale. Sul tavolo delle relazioni russo-turche, infatti, ci sono diverse voci che pesano, dal turismo alla cooperazione sul nucleare e su altri progetti energetici, come quello, importantissimo del Turkish Stream, che molti sono interessati a tenere in piedi. Così la Russia sta colpendo in queste ore proprio alcune importanti voci che contribuiscono alla formazione del Pil turco: dal divieto per i turisti russi di recarsi in vacanza nella penisola anatolica, fino alle restrizioni sui prodotti importati da Ankara, che per il 15% sono stati dichiarati oggi non conformi ai requisiti normativi dall’ente di supervisione russo per i consumatori Rospotrebnadzor, e che verranno per questo rispediti al mittente.
A sopperire a questa lacuna, inoltre, ci penserà probabilmente l’Iran, Paese con il quale i rapporti vanno invece a gonfie vele.
La Russia, infine, secondo quanto afferma il prof. Sotnichenko su Izvestia, si aspetta da Ankara un gesto simile a quello che fu costretto a compiere il premier israeliano Nethanyahu dopo l’assalto del commando militare israeliano alla nave turca Mavi Marmara nel 2010. Le scuse del governo turco potrebbero infatti contribuire ad appianare la questione e soprattutto, rilancerebbero a livello internazionale l’immagine della Russia e di Putin.
Ma le scuse ufficiali di Erdogan, ha sottolineato oggi proprio lo stesso presidente russo, non sono ancora arrivate, né tantomeno il sultano turco, ha proseguito Putin, ha proposto di “risarcire i danni e punire i criminali per il reato commesso”. Un fatto questo, che potrebbe essere fonte di ulteriori ripercussioni negative nelle relazioni politiche, economiche e commerciali fra i due Paesi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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