Un messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce. Era il 15 febbraio del 2015. Ventuno egiziani copti, sequestrati in Libia qualche mese prima, vengono portati dai tagliagole dello Stato islamico su una spiaggia che guarda in faccia l’Italia. E da lì mandano un nuovo messaggio di minaccia all’Europa e all’Occidente: “Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo a sud di Roma… in Libia”. E ancora: “Avete buttato il corpo di Osama bin Laden in mare, mischieremo il suo sangue con il vostro”. Gli ostaggi sono tutti vestiti con la classica tuta arancione. Hanno giusto il tempo per rimettere l’anima a Dio, prima che i coltelli dei jihadisti affondino nella loro gola. Quasi cinque anni dopo lo stesso inferno. Stavolta siamo in Nigeria. Undici cristiani, catturati nelle ultime settimane nello stato nord-orientale di Borno, vengono fucilati e pugnalati dai sanguinari uomini di Boko Haram per vendicare la morte del califfo Abu Bakr al Baghdadi.
E dire che, sconfitto lo Stato islamico in Siria e allontanato l’incubo degli attentati in Europa, i più hanno creduto di aver chiuso con la minaccia islamista. E così sono caduti nel dimenticatoio la lama di Jihadi John, che ha ammazzato una sfilza di ostaggi occidentali, il prigioniero giordano bruciato vivo in gabbia (video) o le yazide stuprate e poi vendute al mercato delle schiave. E nemmeno vengono più ricordati i migranti cristiani affogati in mare dagli islamici che li accusano di “portare sfortuna” o padre Jacques Hamel fatto inginocchiare davanti all’altare della sua chiesa e poi sgozzato come un agnello sacrificale. Tutto troppo lontano. Persino i camion sulla folla e le stragi nei teatri sembrano non far più paura a noi occidentali, assorbiti da altre ansie inconsistenti. È bastato che i lupi solitari dello Stato islamico smettessero di versare il nostro sangue per credere che fosse tornato tutto alla normalità. Ma è una menzogna che ci raccontiamo per andare a letto tranquilli e riprendere a salire su un aereo senza imbottirci di Xanax per vincere la paura che uno jihadista non lo schianti contro un grattacielo.
In questi giorni ho letto Le altissime torri, il libro di Lawrence Wright che cala nella Storia il terribile attacco di al Qaeda all’America di George Bush e non lo isola, come fanno molti, a un blitz estemporaneo. Un progetto che inizialmente era stato solo abbozzato tra i campi di addestramento in Sudan e le montagne dell’Afghanistan e che, per quanti credessero di non poterlo realizzare, ce ne erano altrettanti pronti a morire pur di portarlo a termine. E alla fine ce l’hanno fatta, aprendo così un decennio di sangue puntellato da continui attacchi all’Occidente. Non si può capire quell’attentato senza legarlo, come viene fatto nel libro edito da Adelphi, al padre fondatore del jihad moderno, Sayyid Qutb, che negli anni Quaranta è stato accolto (guarda un po!) proprio in America. E che dopo quel viaggio, prendendo a prestito le parole di Zawahiri, ci ha apertamente dichiarato guerra: “Tirate dritto, fratelli, giacché la vostra strada è intrisa di sangue. Non voltate la testa né a destra né a sinistra; guardate invece soltanto in alto, al paradiso”. Come non si può capire lo Stato islamico senza collegarlo, come ho già spiegato con Matteo Carnieletto nel libro Isis segreto, a quei miliziani che, dopo la Seconda Guerra del Golfo, sono finiti a Camp Bucca e lì hanno covato per anni sentimenti di vendetta fino teorizzare non più soltanto le azioni terroristiche ma anche la nascita di un Califfato che riunisse gli Stati islamici sotto un’unica bandiera nera del terrore. E ancora: non possiamo capire l’odio nei confronti dell’Occidente se non approfondiamo, come ha già fatto Michel Houellebecq in Sottomissione, la nostra incapacità di arginare l’immigrazione, la volontaria cancellazione della nostra cultura per non far torto ai musulmani e soprattutto il disprezzo che le frange più estreme dell’islam hanno nei nostri confronti.
La minaccia islamica ha un unico filo conduttore. Ed è l’odio. Questo non è stato ancora estirpato. Oggi ce lo dimostrano i jihadisti di Boko Haram facendo carne da macello di undici cristiani e le due belve 16enni che, in una delle tante banlieue parigine, hanno stuprato una ragazza inneggiando ad Allah.
È un incubo che si ripete. E, per quanto facciamo finta di niente, tornerà in continuazione per strapparci l’anima (e la vita) dal cuore. Perché questo è il loro jihad. La guerra santa conto gli infedeli. Che siamo noi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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