Il massacro, o meglio la vera e propria decimazione della tribù irakena degli Albunimr, poi di un altro clan di Ras Mas, posta in atto in questi ultimi giorni dalle milizie dell’IS nella provincia di Anbar, è qualcosa che va ben al di là dell’orrore che la scena delle fosse comuni zeppe di cadaveri di uomini, donne e bambini ha suscitato, rimbalzando sui Media internazionali, in tutto il mondo. Rappresenta, soprattutto, un indicatore – ed un segnale estremamente preoccupante – di quale è veramente la strategia di guerra che il Califfo sta ponendo in essere in tutto il Medio Oriente. Una strategia estremamente raffinata, che utilizza l’orrore ed il sangue, mediaticamente enfatizzati, per sortire il duplice risultato di terrorizzare chi si oppone all’avanzata dello Stato Islamico e, al contempo, per velare, agli occhi degli osservatori occidentali, gli autentici obiettivi politici e, in questo caso, principalmente militari.
Entrambi i clan colpiti con estrema durezza sono infatti tra i più importanti della regione di Anbar; regione semidesertica e popolata da poco più di un milione e mezzo di persone tutte legate a gruppi tribali rigorosamente di fede sunnita, e pertanto tradizionalmente ostili al Governo centrale di Baghdad attualmente in mano ad una maggioranza sciita. Ostilità che, tuttavia, non si traduce automaticamente in un’adesione delle tribù al Califfato jihadista, anche perché la dottrina da questo propugnata presenta tanti e tali elementi di radicalismo ideologico da contrastare decisamente con l’Islam tradizionalmente praticato dalle tribù beduine, intessuto di usanze che poco o nulla hanno a che spartire con il fondamentalismo. E però il Califfo vuole assumere il controllo totale dei clan sunniti del Governatorato di al-Anbar che rappresenta la vera porta di ingresso a Baghdad. Basta guardare una carta geografica dell’Iraq per rendersene conto. Il deserto e, soprattutto, i centri di Hit, Ramadi e Fallujah sono le chiavi per aprire lo scrigno del tesoro cui i jihadisti puntano con sempre maggiore decisione: Baghdad, la capitale dell’Iraq moderno, certo, ma ancor più, nell’immaginario collettivo dell’Umma islamica, quella dell’antico Califfato dell’epoca d’oro degli Abbassidi. Conquistarla, per le milizie fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi, che ormai ha assunto il titolo di Califfo Ibrahim, significherebbe lanciare un preciso segnale non solo a tutto il Medio Oriente arabo, ma addirittura a tutto il mondo islamico. Il segnale che un Califfo, un “successore del Profeta”, è finalmente tornato ad insediarsi nell’antico cuore della stagione – ormai mitica e mitizzata – del massimo splendor e della massima potenza dell’Islam. Un segnale che potrebbe suonare come uno squillo di tromba, unificando sotto le nere bandiere dell’IS quanti, dal’Asia Centrale all’Africa sub-sahariana, dal Maghreb alla stessa Europa sono dispersi nei mille rivoli dei movimenti radicali jihadisti.
Baghdad, dunque, è il vero obiettivo strategico, per conquistare il quale il Califfato deve piegare e sottomettere le tribù di al-Anbar, ora come ora abbandonate completamente a se stesse ed al loro tragico destino. Soprattutto da quella coalizione internazionale i cui occhi sembrano puntati quasi esclusivamente, in questo momento, sulla città curdo-siriana di Kobane, dove da settimane i peshmerga combattono disperatamente contro l’avanzata dell’IS. Resistenza eroica che ha attratto l’attenzione del mondo intero anche per il complesso intreccio della battaglia di Kobane con una serie di annose questioni geopolitiche, in particolare il problema curdo che coinvolge pesantemente la Turchia, finendo con il generare problemi interni alla stessa Nato. Tuttavia Kobane, dal punto di vista della strategia del Califfo, rappresenta solo un diversivo, non certo un obiettivo primario. Infatti, in queste settimane, sacrificando molti suoi uomini, il comando dell’IS ha costretto americani ed alleati a concentrare attenzione e sforzi nel nord della Siria, ottenendo così di poter operare quasi indisturbato in Iraq.
E soprattutto nel Governatorato di al-Anbar, la cui conquista aprirebbe la strada all’attacco diretto a Baghdad, che si trova solo a poche decine di chilometri, Un attacco, una grande offensiva che potrebbe essere imminente.Andrea Marcigliano
Senior fellow del think tank "Il Nodo di Gordio"
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