Droni, l'Italia senza linee guida spende 130 milioni per armarli

Il governo italiano, a differenza di quello inglese ed americano, non ha definito le linee guida per le operazioni potenzialmente offensive, ma ha speso 130 milioni di dollari per armare i droni

Droni, l'Italia senza linee guida spende 130 milioni per armarli

L'Italia è il secondo paese, dopo la Gran Bretagna, ad essere dotato di droni con capacità hunter killer. In base alla natura asimmetrica dei nuovi conflitti e data la crescente dipendenza globale sui droni per le operazioni militari, la domanda per le versioni armate è in costante ascesa. I droni militari consentono elevate prestazioni sia nella condotta di missioni ISTAR (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance) che in ambito marittimo e terreste, nell’ambito di operazioni di Pattugliamento, Ricerca e Soccorso. La richiesta italiana per armare i droni MQ-9 Reaper (acquistati nel 2009), formulata nel 2012 al Dipartimento di Stato, è stata esitata favorevolmente il cinque novembre del 2015. Due settimane dopo l’accordo è stato ratificato dal Congresso degli Stati Uniti.

Nella richiesta al Dipartimento di Stato si legge che “l’Italia richiede di armare i suoi MQ-9 Reaper per tre motivi principali: sostenere e migliorare la ripartizione degli oneri nelle operazioni della Nato e della coalizione, aumentare la flessibilità operativa ed incrementare la capacità di sopravvivenza delle forze italiane schierate”.

Nella nota della Defense Security Cooperation Agency allegata al Congresso, si rileva che “l’Italia attualmente opera con il sistema MQ-9 e non avrà alcuna difficoltà ad incorporare questa capacità aggiunta. La vendita di queste apparecchiature non altera l'equilibrio militare di base nella regione”.

L'accordo siglato prevede un contratto iniziale da 129,6 milioni di dollari con General Atomics in qualità di prime contractor. L’Italia ha acquistato i kit di armamento,156 missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, venti GBU-12 a guida laser, tre GBU-38 JDAM ed altri sistemi d'arma inseriti nella richiesta Non-Major Defense Equipment. Per l’addestramento e l’integrazione software, si stimano altri 30 milioni di dollari.

Gli UAV italiani svolgono missioni di ricognizione da dodici anni per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina nel Mediterraneo ed in svariati contesti operativi come ad esempio Iraq, Afghanistan, Balcani, Libia, Kuwait. I sensori elettro-ottici, infrarossi e radar posti sotto la fusoliera, permettono capacità di osservazione e di rilevamento uniche, in grado di operare anche di notte. Il sensore radar ad apertura sintetica, in particolare, consente con ogni condizione di tempo, la capacità di ottenere immagini ad alta definizione. Lo scorso novembre, i Predator italiani a servizio della Coalizione internazionale, hanno varcato la soglia delle tremila ore di volo, impiegate in attività di sorveglianza, raccolta informazioni e ricognizione su oltre 2900 obiettivi al suolo. L’Aeronautica gestisce una flotta di sei Predator e sei Reaper inquadrati nel 32° Stormo, ma il governo italiano, a differenza di quello inglese ed americano, non ha definito le linee guida per autorizzare operazioni potenzialmente offensive.

Gli Stati Uniti impiegano i droni nelle missioni di assassinio e nelle ondate “clean up”, l’ultima avvenuta ieri contro due campi di addestramento Isis, 45 chilometri da Sirte, dirette dai JTAC sul terreno. L'MQ-9 Reaper, apertura alare di 20 metri e 27 ore di autonomia, consente la permanenza persistente per l’individuazione dei bersagli inseriti in quella che è definita disposition matrix.

Si legge nella Presidential Policy Guidance:

“Il Pentagono autorizza attacchi mirati contro obiettivi terroristici quando vi è la quasi certezza della presenza dell’obiettivo, la quasi certezza che i civili non vengano feriti o uccisi e quando il bersaglio rappresenta una costante minaccia imminente gli Stati Uniti”.

In questi casi non è necessario un ordine diretto del comandante in capo. L’approvazione del presidente degli Stati Uniti è richiesta quando “il bersaglio è un cittadino americano o quando vi è divergenza tra i funzionari nell’autorizzare un raid contro un obiettivo non americano”.

In quel caso, “la decisione del presidente, inclusi eventuali termini o condizioni, sarà comunicata per iscritto con priorità su qualsiasi precedente approvazione dei dipartimenti e delle agenzie coinvolte”.

Il governo inglese autorizza operazioni hunter killer solo in caso di priorità militare, come avvenuto ad esempio in Afghanistan o a Raqqa, in Siria durante il raid congiunto che ha portato all’eliminazione di Mohammed Emwazi. Il dodici novembre del 2015, nei pressi del tribunale islamico della città di Raqqa, USA e Gran Bretagna inviarono in zona tre Reaper MQ-9, ognuno dei quali armato con 12 missili hellfire per eliminare il bersaglio ad altissima priorità.

Quando un drone entra in azione in territorio ostile, si ha la “quasi” certezza di stare per colpire un obiettivo sensibile. I problemi iniziano dopo il raid, poiché l'unico metodo per confermare l'avvenuta eliminazione di un bersaglio è di prendere un campione di DNA ed analizzarlo. Questa capacità, però, dipende dall'accesso al suolo.

La liceità di una missione di assassinio

E’ la priorità militare a salvaguardia della nazione ad attivare la catena di comando che autorizza il lancio di un missile in una missione targeting leader. Quel controllo dell’evoluzione della situazione da parte delle autorità responsabili del comando delle attività che consente di rientrare nei concetti operativi stilati nelle direttive antiterrorismo che sanciscono la liceità di tali operazioni. Una capillare rete di intelligence, infine, aggiorna costantemente gli obiettivi sensibili. Una capacità messa in discussione nel 2012 dalla commissione del Senato Usa, in uno scambio epistolare tra Hillary Clinton, all'epoca segretario di Stato e Dianne Feinstein. Quest'ultima, a capo della commissione d’intelligence, espresse perplessità sulle capacità italiana nel disporre di un tale sistema d'arma.

Quando stilate, le linee guida di Roma dovranno adeguarsi alle nuove direttive di Washington che disciplinano la vendita estera dei droni armati. Una serie di principi cioè, basati sul “corretto uso di tali sistemi d’arma da impiegare esclusivamente per la difesa nazionale ed in situazioni in cui la forza è consentita dal diritto internazionale”. I governi stranieri che ottengono tali forniture, infine, dovranno accettare anche il potenziale monitoraggio degli Stati Uniti per le missioni con impiego dei droni armati.

Le nuove norme sulla vendita delle armi convenzionali, sono state volute dall’amministrazione Obama, “a salvaguardia dei diritti umani”. Implicito, quindi, il consenso della Casa Bianca per qualsiasi possibile futura operazione armata dei droni italiani.

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