L’ex-presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva è diventato formalmente imputato nel processo penale derivante dall’operazione “Lava Jato”, la “Mani Pulite” brasiliana. Il giudice federale di Curitiba, Sérgio Moro, ha accolto le accuse di corruzione e riciclaggio presentate dai pubblici ministeri contro il “presidente operaio”. Secondo i procuratori federali, Lula avrebbe ricevuto personalmente 3,7 milioni di reais (circa 1 milione di euro), come parte di un sistema di corruzione all’interno della statale petrolifera Petrobrás per un valore di di 87 milioni di reais (circa 26 milioni di euro). Uno schema di mazzette e fondi neri messo in piedi tra il 2006 e il 2012 grazie a grandi aziende edili conniventi, come il gigante delle costruzioni OAS. L’ex- presidente della OAS, Leo Pinheiro, e altri quattro top manager della società sono infatti sul banco degli imputati insieme a Lula, all’ex-first lady brasiliana, Marisa Letícia, e a Paulo Okamotto, presidente dell’Istituto Lula, la fondazione creata dall’ex-presidente dopo la fine del suo mandato e accusata di essere il veicolo di ricezione delle tangenti. Secondo i PM brasiliani, Lula avrebbe ricevuto vantaggi illeciti dalla OAS attraverso l’acquisto e l’arredo di un superattico su tre piani (triplex) nella cittadina di Guarujá, sul litorale dello stato di São Paulo, e all’immagazzinamento dei beni dell’archivio presidenziale, come i regali ricevuti dall’ex-capo dello stato durante i suoi due mandati di governo, mantenuti gratuitamente dal 2011 al 2016. Il giudice Moro ha accolto le accuse indicando come “sussistano ragionevoli indizi che l’immobile in questione sia stato destinato, ancora nel 2009, dalla OAS all’ex-presidente e a sua moglie, senza contropartite corrispondenti, rimanendo tuttavia la OAS come formale proprietaria e occultando la sua reale titolarità”.
È la prima volta che l’ex-presidente brasiliano arriva sul banco degli imputati a Curitiba, città epicentro della “Lava Jato” (“autolavaggio”, in italiano). L’operazione sta investigando il sistema corruttivo che sarebbe stato in vigore all’interno della Petrobrás tra il 2004 e il 2014, e che avrebbe provocato un buco di bilancio di 42 miliardi di reais (circa 12 miliardi di euro) nelle casse della statale petrolifera brasiliana. I fondi neri ottenuti sarebbero serviti per comprare i partiti che hanno formato la base di governo di Lula al Congresso brasiliano, i quali avrebbero ricevuto una percentuale tra l’1% e il 3% sui contratti firmati dalla Petrobrás a prezzi gonfiati. Benché Lula sia stato eletto per due mandati di fila, infatti, il suo partito, il Partido dos Trabalhadores (PT), non ha mai conquistato la maggioranza al Congresso. Per riuscire a governare il PT è stato costretto ad allearsi con una galassia di partiti, ai quali è stata garantita una contropartita economica per mantenere salda la coalizione di governo. Esattamente per lo stesso motivo, pochi mesi dopo la prima elezione di Lula, nel 2003, era scoppiato lo scandalo del Mensalão. E, non a caso, l’operazione “Lava Jato” è comunemente conosciuta in Brasile come Petrolão. Lo scorso mercoledì i magistrati brasiliani avevano presentato le accuse durante una conferenza stampa, accusando il governo Lula di essere stato una “propinocracia” (traducibile come “mazzettocrazia”, ndr). Per il procuratore di Curitiba, Deltan Dallagnol, responsabile del pool che indaga sulla Lava Jato, Lula era il “comandante máximo” del gigantesco sistema di corruzione e il “maestro di questa grande orchestra organizzata per saccheggiare le casse pubbliche”. Per la legge brasiliana, se condannato per corruzione, Lula potrebbe scontare una pena fino a 12 anni di carcere, che può essere aumentata in caso di violazione del “dovere funzionale” del pubblico ufficiale. Nel caso di riciclaggio, la condanna può arrivare fino a dieci anni di reclusione, aumentata se dovesse essere considerato membro di un’”organizzazione criminale”. Oltre alla corruzione e al riciclaggio, Lula è accusato di una serie di altri reati.
Tra questi, la vendita di decreti legge durante i suoi due mandati (operazione Zelotes); la proprietà di una villa ad Atibaia ottenuta sempre per mascherare tangenti attraverso la OAS e il gigante delle costruzioni Odebrecht; il pagamento milionario di conferenze e seminari mai realizzati, sempre da parte di aziende conniventi; donazioni illegali all’Istituto Lula; ed infine la nomina dello stesso Lula come ministro della Casa Civile da parte dell’ex- presidente Dilma Rousseff, sua delfina, per proteggerlo dalle inchieste e dai processi garantendogli il foro privilegiato presso il Supremo Tribunale Federale. Ora che il governo Rousseff è caduto a causa dell’impeachment, Lula torna ad apparire nel radar della giustizia comune.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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