Sono due enormi occhi di donna che ti guardano. Quattro metri per sei. Occhi liberi dal burqa. Occhi penetranti come quelli delle ragazze afgane. Uno sguardo che ti fissa da uno dei muri protettivi che riempiono la città di Kabul. Un graffito, un dipinto che lascia di stucco ogni afgano che passa vicino al palazzo presidenziale.
La gente non è abituata all’arte, non è abituata a vedere colorati quei muri che hanno continuato a crescere negli ultimi quattordici anni. Muri che circondano gli edifici governativi, le banche, i centri commerciali, le ambasciate e le basi militari.
I civili sanno bene che quei chilometri di mura che hanno ridisegnato i percorsi della città, non sono lì per difendere loro che stanno fuori, ma quelli che stanno dentro. E così, un gruppo di artisti, ha avuto un’idea: se i muri non si possono abbattere, forse possono farli sparire ricoprendoli di colori, di messaggi e di disegni.
Armati di bombolette, vernici e pennello si sono trasformati nei Signori dell’Arte per contrastare quelli della Guerra che hanno distrutto Kabul durante la guerra civile prima ancora che arrivassero i talebani.
Due gli obiettivi: lanciare una campagna contro la corruzione, non a caso accanto al murales degli occhi giganti, c’è una scritta sia in pashtun che in dari, che dice: “Ti sto guardando, la corruzione non può essere nascosta né gli occhi di Dio né a quelli degli uomini”, e poi cambiare la definizione di eroe in Afghanistan, non sarà più chi imbraccia fucili o una spada e sogna la guerra, ma la gente normale, i lavoratori per strada, il vecchio in bicicletta, i bambini che vanno a scuola, tutti quelli che ogni giorno rischiano la pelle quando mettono i piedi fuori di casa. Perché a Kabul si continua a morire, solo pochi giorni fa, l’ultimo attentato con 16 morti, la maggior parte civili.
I muri sono il simbolo del pericolo che circonda ogni persona che vive a Kabul, i disegni sui muri saranno la rassicurazione che c’è un futuro per chiunque riesca a vedere oltre a un grigio blocco di cemento. E la città si trasforma in una tavolozza di colori che si anima di artisti, molti dei quali donne, ma anche passanti che per la prima volta accettano di tenere in mano un pennello.
E bastano cinque minuti per sentirsi trionfanti. “Perché essere parte di qualcosa, fa stare bene tutti”. Ogni volta che echeggia un’esplosione il lavoro si ferma per ragioni di sicurezza, e poi riprende, inarrestabile come un’onda che si infrange e si impressiona contro le rocce, i muri sono gli scogli degli afgani.
“È il nostro contributo a questa città – racconta l’artista Kabir Mokamel, afgano australiano di 46 anni, che da tre prova a mettere in piedi questa idea - ogni volta che torno a Kabul mi sembra di essere sotto assedio, quando trasformiamo questi muri, noi creiamo un nuovo spazio nella mente delle persone”.
Un altro disegno rappresenta una carriola con un cuore dentro con un cerotto. “Riguarda il curare le ferite dell’Afghanistan”, spiega Mokamel, riguarda il prendersi cura di un paese che è stanco del dolore, della violenza e di soccombere.
I bambini di Kabul si avvicinano curiosi, affascinati come solo i piccoli sanno essere, Maryam Kohi, una pittrice di 35 anni, allunga il pennello a uno di loro, armata solo di un sorriso. Il suo volto circondato da un velo è senza burqa, senza filtri, senza muri tra una donna e il mondo che la circonda: “Le persone qui vivono nella paura, ma con l’arte possiamo cambiare l’aspetto della città, possiamo lanciare un messaggio di pace e di condivisione”.
Ma non solo, in un paese dove la maggior parte dei suoi cittadini sono analfabeti, la pittura è un veicolo di conoscenza e informazione, che tutti possono capire. “La gente ci comprende, ci sostiene e ci apprezza”, afferma Nabi, un altro artista. Tanto che l’intero progetto non ha preso un dollaro dagli stranieri. Tutti i contributi che hanno avuto per comprare i materiali per dipingere, sono arrivati dagli afgani.
“I paesi donatori, le organizzazioni, gli stranieri hanno speso milioni di dollari per combattere la corruzione, e restiamo uno dei paesi più corrotti al mondo”, continua Mokamel che punta a creare una sorta di letteratura visuale.
L’Afghanistan è al secondo posto tra i paesi più corrotti al mondo, e per quanto il nuovo presidente Ashraf Ghani, un economista della Banca Mondiale, si sia messo di impegno a sradicare la corruzione, sembra un’impresa quasi impossibile in un paese dove tutto gira intorno ai soldi, alle mazzette e ai favori. Forse anche per questo, proprio Ghani, e non il suo predecessore Karzai, ha approvato senza esitazione il progetto di Mokamel, dando la benedizione al suo lavoro, ma anche mettendo a disposizione il muro vicino al palazzo presidenziale per cominciare.
Tutti sanno che i dipinti sui muri per quanto belli possano essere, non fermeranno la violenza,
non cancelleranno con un colpo di pennello la corruzione, non cambieranno la vita degli afgani, se non per quegli occhi sgranati sulla faccia della gente sorpresa e quel sorriso, che hanno già strappato e che non ha prezzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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