Condanna netta della guerra russa all’Ucraina, ma non senza critiche più o meno esplicite alla politica dei governi occidentali negli ultimi decenni. È questa, in sintesi, la posizione delle due associazioni rappresentative della quasi totalità dei 2,5 musulmani in Italia, l’Ucoii (Unione Comunità Islamiche d’Italia, più radicata nel territorio con 300 luoghi di culto) e il Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana, con un più ampio spettro di etnie al suo interno).
Come nell’intera opinione pubblica fra le schiere di fedeli, di cui 1 milione ha la cittadinanza italiana, si è aperto il dibattito. Con una differenza subito evidente, fra le due organizzazioni. “La guerra, che conduce inevitabilmente a dolori inenarrabili ed estende l'ingiustizia”, spiega Yassine Lafram, a capo dell’Ucoii, “la nostra comunità l'ha sofferta direttamente o solidalmente con i popoli musulmani che ne sono stati fatto oggetto”. Un chiaro riferimento alle sanguinose vicende del Medioriente. Per Yahya Pallavicini, presidente del Coreis, le prime reazioni sono state “tristezza e sgomento”, ma più “per la vicinanza a un dramma che ci colpisce in quanto europei”. Simile, invece, quella ufficiale a sostegno degli ucraini: “Abbiamo fatto appello a tutte le moschee d’Italia e d’Europa di aprire le loro porte ai profughi ucraini – dice Lafram - e siamo scesi in piazza in molte città d’Italia per chiedere l’immediato cessate il fuoco, invitando tutti gli imam delle moschee d’Italia di dedicare un momento di preghiera per chiedere all’Altissimo di illuminare le coscienze di chi è deputato a decidere delle sorti del mondo”.
Il Coreis, che ha la sede centrale nella moschea di Milano in via Meda, ha mostrato la sua solidarietà “subito, la prima domenica dopo l’invasione, in occasione della messa nella chiesa cattolica della comunità ucraina milanese, su invito del sacerdote. Inoltre, con varie moschee d’Europa, stiamo preparando una raccolta fondi e viveri a favore dei civili”. Pallavicini rivela anche che “con un coordinamento di autorità confessionali (musulmani, cattolici, evangelici, ortodossi non russi) stiamo cercando di organizzare una delegazione da inviare a Mosca per incontrare il patriarca Kirill o, al limite, il metropolita Ilarion. Per provare almeno a portare di persona una testimonianza di pace”.
Già, la pace. Tutti la vogliono, ma come ottenerla in concreto? Lafram dell’Ucoii si tiene sulle generali: “Pace è mettersi nei panni dell'altro, per quanto stretti o difficili da indossare. È eliminare tutto quello che può scatenare una guerra, scaricare le armi, bagnare le polveri, compiere ogni giorno gesti di solidarietà e accettazione”. Pallavicini del Coreis, premettendo che “va costruita anzitutto con la riduzione del mercato delle armi e delle spese militari, come ha ricordato Papa Francesco”, entra un po’ più nel merito stigmatizzando la Russia “entrata a forza in un altro Paese, ricorrendo a una logica di violenza che dovrebbe appartenere al passato”. E si spinge ad auspicare “ogni forma di pressione perché i russi tornino indietro”. Anche armando l’Ucraina, come ha deciso di fare l’Italia sulla scia dell’Unione Europea? “No, con le azioni diplomatiche e politiche, altrimenti perdono di significato tutte le rivendicazioni di emancipazione della barbarie. Bisogna ripristinare il primato della ragione e della fede, che insegna a non uccidere”.
Entrambe le associazioni sono in contatto con i leader dei confratelli in Ucraina, le cui comunità “hanno aperto le loro moschee per ospitare i profughi di guerra”, sottolinea Lafram. “Abbiamo parlato con il Mufti ucraino (massima autorità religiosa nazionale, ndr) così come con quelli di Polonia, Romania e Bulgaria”, racconta Pallavicini, “mentre con i vertici religiosi russi, ad eccezione di quello ortodosso, ci è giunto il messaggio del silenzio”. Non sorprende: in Russia, la libertà di espressione è oggi azzerata.
Dalle nostre parti, invece, magari c’è qualche remora di troppo a discutere sulle cause del conflitto. “Non ricerchiamo le cause, ma opportunità per mettervi fine”, taglia corto Lafram. Ma aggiunge: “Se non si compiono gesti di pace continui e coerenti le crisi diventano conflitti”. L’Ucoii cita apertamente la “ferita sempre aperta della Palestina” come esempio di quel “valore dell’integrità territoriale tanto assoluto quanto disatteso”. E non solo la Palestina: anche “Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen, Libia”.
Il Coreis, pur schierandosi “con i valori dell’Occidente” e ritenendo l’attacco delle truppe di Putin “sproporzionato”, denuncia anche il comportamento del presidente ucraino Zelensky (che “non è un santarellino”): “Alla base ci sono le provocazioni, legittime sia chiaro, da lui decise per evitare che il suo Paese diventi uno Stato-cuscinetto. La Russia ha risposto con la forza, facendosi doppiamente torto”. Pallavicini prende le distanze da certe “tristi speculazioni che ho raccolto da alcuni musulmani mediorientali e del mondo arabo, secondo i quali l’Occidente difende l’Ucraina ma discrimina i profughi del Mediterraneo”. Possono esserci “differenze di vedute, ma io, con la mia comunità, son stato chiaro nel condannare la guerra”. Le analisi geopolitiche in questo momento “rischiano di essere solo chiacchiere.
La democrazia è il meno peggiore dei sistemi per evitare la tirannia perché garantisce il pluralismo, ma non può essere esportata a forza, dev’essere un processo di maturazione consapevole che lasci ai popolo la libertà di scelta. Altrimenti è un imperialismo contro l’altro. Purtroppo c’è una stupidità diffusa in Occidente come in Oriente. Ma resta un male minore, rispetto alla barbarie di chi aggredisce”.
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