Rimuove poster di Maometto, picchiato a morte e bruciato: l'orrore in Pakistan

L'attacco è avvenuto nel distretto di Sialkot, nella provincia orientale del Punjab. La vittima della folla musulmana un manager dello Sri Lanka, accusato di aver rimosso un manifesto con impressi alcuni versetti del Corano

Rimuove poster di Maometto, picchiato a morte e bruciato: l'orrore in Pakistan

Decine di persone che si accalcano attorno al corpo ridotto in fin di vita, tutte con lo smartphone in mano, per riprendere la scena. Ancora qualche calcio e poi una mano versa la benzina sulla vittima, per poi appiccare il fuoco tra le grida di incitamento della folla. Siamo nel distretto di Sialkot, nella provincia orientale del Punjab, in Pakistan.

L’uomo che viene travolto e linciato da una massa di operai musulmani si chiama Priyantha Kumara. È un cittadino dello Sri Lanka che lavora come dirigente in uno stabilimento che produce articoli sportivi. Per i lavoratori della fabbrica sarebbe colpevole di aver fatto rimuovere un manifesto con impresso il nome di Maometto. Per questo l’hanno pestato a morte all’interno dello stabilimento, mentre qualcuno intonava gli slogan del partito radicale islamico Tehreek-e-Labiak Pakistan, movimento fondamentalista che il mese scorso ha dato vita ad una violenta manifestazione contro la pubblicazione in Francia di alcune vignette contro il profeta.

Sul corpo della vittima è stata disposta l’autopsia e da Colombo si sono levate le proteste del ministero degli Esteri. "Ci aspettiamo che le autorità pakistane prendano le iniziative opportune per assicurare giustizia", ha detto un portavoce del dicastero. Venerdì scorso, due ore dopo l’attacco, il premier pakistano Imran Khan, ha definito "orrendo" l’omicidio del manager. "È il giorno della vergogna", ha detto promettendo che i responsabili sarebbero stati "severamente puniti". Grazie alla legge sulla blasfemia, però, che prevede il carcere a vita, o peggio, la pena di morte, per chi è sospettato di aver mancato di rispetto al profeta, episodi come quello di Sialkot sono frequenti.

Accuse di questo tipo vengono usate per intimidire le minoranze religiose o per risolvere questioni personali. Per questo motivo è stato ucciso nel 2011 dalla sua stessa guardia del corpo ad Islamabad il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, che aveva preso le difese di Asia Bibi, la donna cristiana imprigionata per anni per la stessa accusa. Due mesi dopo il ministro cattolico per le minoranze, Shahbaz Bhatti, è stato freddato nella capitale pakistana da un commando di uomini armati per essersi opposto alla legge sulla blasfemia.

Ma gli episodi violenti, negli ultimi anni, sono stati decine.

L’attacco di venerdì scorso, inoltre, arriva dopo l’incendio a diverse stazioni di polizia nel Pakistan nord occidentale, dopo il rifiuto di un ufficiale di trattenere un uomo mentalmente instabile accusato di aver dissacrato il Corano.

Per l’omicidio di Priyantha Kumara la polizia pakistana ha arrestato circa 100 sospettati. Due di loro avrebbero già confessato di aver partecipato direttamente all’assassinio dell’uomo.

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