C’è un’Italia che aspira più o meno consciamente al tramonto dell’Occidente, quell’unità atlantica fra Stati Uniti d’America ed Europa che ha nella Nato il suo puntello militare. Una parte dell’opinione pubblica minoritaria, certo. Ma non trascurabile, molto agguerrita sui media e sui social, e ideologicamente trasversale: si va dai pacifisti del né-né, No Putin e No Nato, a conservatori come Sergio Romano, passando dalla sinistra intellettuale à la Barbara Spinelli e Michele Santoro, per arrivare a frange di destra radicale e perfino, se è lecito interpretarli come sintomi di un malcelato malcontento, in prese di posizione contestatrici della linea fin qui tenuta dalle democrazie occidentali (caso Orsini docet). Come esistesse un sentimento carsico di insoddisfazione contro l’Occidente che la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha fatto riaffiorare. Ne discutiamo con Lorenzo Castellani, docente di storia delle istituzioni politiche alla Luiss di Roma (e autore del recente ‘Sotto scacco’, che analizza proprio i rischi di implosione del modello occidentale).
Castellani, esiste o no un fondo di scetticismo e ostilità anti-occidentale, in Italia?
“Sì, una sensibilità anti-occidentale nel nostro Paese c’è. Si tratta di scorie che derivano da due grandi filoni: la tradizione di sinistra, da sempre ostile alla Nato perché, non dimentichiamocelo, qui c’era il più forte partito comunista d’Occidente; e la tradizione di destra, quella per intenderci che si riconosceva nel Movimento Sociale Italiano, che sognava la cosiddetta ‘terza posizione’ fra Stati Uniti e Unione Sovietica”.
Come si sono tradotti, oggi?
“Il primo in un pacifismo terzomondista per il quale la Nato è solo lo strumento degli Usa e in quella percezione diffusa a destra secondo cui Putin sarebbe l’uomo forte, anti-progressista, simbolo della lotta alla cultura woke. Sono entrambe culture di minoranza, ma molto attive e con una forte esposizione mediatica, tanto da riuscire in parte a oscurare il corpaccione centrale dell’opinione pubblica, che resta saldata alla collocazione atlantica e filo-americana".
C’è chi sostiene che, per interposta Ucraina, siamo di fronte a uno scontro di civiltà, democrazie da un lato e dittature dall’altro. La Russia può costituire un modello alternativo?
“Questa possibilità è finita, dopo l’invasione dell’Ucraina. Putin e il suo regime sono oggi impresentabili. Semmai, ad essere attraente è la Cina. Con quel sistema di meritocrazia politica basata sulla formazione della classe dirigente, con quel suo centralismo economico, con l’avanzata tecnologica, è sicuramente un modello che seduce la sinistra culturale. Sul versante destro, invece, c’è chi vorrebbe far passare Putin da nazionalista, mentre è un imperialista, come si è visto in Georgia e in Siria.
Putin è un pazzo criminale, il nuovo Hitler?
"Fa sorridere che venga definito nuovo Hitler, ad esempio. Nuovo Stalin, caso mai. Come lo staliniano era un imperialismo russo mascherato da comunismo, quello putiniano possiamo chiamarlo in molti modi, panslavismo, neo-zarismo, ma si tratta sempre della stessa idea di un ceppo dominante, il russo, che assoggetta e riunisce attorno a sé le etnie confinanti. Stiamo parlando di uno che agisce in base alla realpolitik, perciò è difficile pensare che si spinga, per esempio, a invadere gli Stati baltici appartenenti alla Nato. Significherebbe la Terza Guerra Mondiale".
È concreto il pericolo che le minoranze rumorose si trasformino in minacciose, per la democrazia liberale?
“Posto che alla Russia non conviene una guerra breve perché altrimenti i prezzi delle materie prime di cui è produttrice scenderebbero facendole rischiare il default, la crisi economica e sociale, che è già qui, sommata magari a un’eventuale manifestazione di impotenza dell’Occidente nel risolvere lo scontro in corso, metterebbero le élites di nuovo a rischio di legittimità. Dopo aver bene o male rilegittimato se stesse con la gestione del Covid, dovrebbero gestire problemi enormi di tenuta della leadership. Una guerra, all’inizio, impone una cappa di sospensione, ma poi le questioni inevitabilmente emergono. Quel che va evitato fin d’ora, piuttosto, è sperare di arrivare a una soluzione con la mentalità dell’internazionalismo liberale, affidandosi solo all’Onu, o peggio ancora confidando che il regime di Putin crolli.
Questi sono nostri wishful thinking. Bisogna ritrovare le ragioni della ragion di Stato, e le armi sono la deterrenza militare, gli accordi realistici e una conferenza internazionale che discuta l’ordine mondiale per tenere a bada la Russia”.
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