"Un piano più subdolo dello sterminio...". Cosa succede nel Sud dell'Ucraina

Inizia a prendere piede l'idea che la Russia nel sud est dell'Ucraina voglia attuare una "russificazione" della zona, in risposta forse a quanto avvenuto nel 2014

"Un piano più subdolo dello sterminio...". Cosa succede nel Sud dell'Ucraina

Il sud dell'Ucraina rappresenta ad oggi l'unico fronte in cui i russi sono riusciti ad avanzare seriamente. Qui la resistenza c'è stata, ma le tante forze entrate dalla Crimea sono riuscite a fare la differenza. Anche perché non ci sono da queste parti metropoli. Kherson, la città più grande in mano ai russi, non va oltre i trecentomila abitanti.

È possibile quindi qui osservare come i russi si stiano comportando nella gestione del territorio. E a ben vedere c'è chi parla di una “pulizia etnica subdola”. Non realizzata cioè con violenze fisiche o deportazioni forzate, ma con uno specifico piano volto a “svuotare” i territori per togliere tutti coloro che si oppongono all'occupazione di Mosca. A spiegare questo concetto nelle scorse ore è stato, intervistato su Il Messaggero, Agostino Miozzo, operatore della Protezione Civile intervenuto dagli anni '90 in poi in tutte le aree di conflitto.

Una vendetta sui fatti del 2014?

Per comprendere meglio questo concetto, occorre prima fare un passo indietro e tornare al 2014. L'anno di Euromaidan e dell'arrivo al potere a Kiev di una coalizione filo occidentale. L'eliminazione del russo dal novero delle lingue ufficiali ha allertato le popolazioni del Donbass e dell'est dell'Ucraina. Da qui poi quel conflitto a bassa intensità mai risolto tra Kiev e le repubbliche separatiste.

Quando il 21 febbraio 2022 Vladimir Putin ha riconosciuto le due entità separatiste, a Mariupol molte persone sono scese in piazza. Sventolavano bandiere ucraine e protestavano contro la scelta del Cremlino. Eppure Mariupol, pur non essendo all'interno del territorio controllato dai separatisti, ha sempre avuto la nomina di una città filorussa. Tanto che nel 2014 le mire di Donetsk sulla città sono state fermate soltanto dagli accordi di cessate il fuoco di Minsk. Come mai quindi proprio a Mariupol è scesa in piazza gente con le bandiere ucraine?

A questa domanda una fonte diplomatica su IlGiornale.it ha risposto in modo lapidario. “Dal 2014 in poi è cambiata la geografia in queste zone”. I russofoni, dopo gli accordi di Minsk, hanno preferito lasciare le zone orientali del Paese rimaste in mano a Kiev. “Chi può è andato via o a Donetsk oppure direttamente in Russia perché si è sentito minacciato”. Peraltro proprio a Mariupol ha preso piede il battaglione Azov, il più estremista tra quello guidato dai nazionalisti ucraini.

Inoltre, come ha spiegato sempre la fonte, la presenza delle repubbliche separatiste ha polarizzato lo scontro politico. Dunque non solo tanti russofoni hanno scelto di andare via, ma chi è rimasto ha preferito “saltare il fosso”, iniziando a sostenere l'Ucraina. “Il senso di appartenenza all'Ucraina, pur da russofoni – ha sottolineato la fonte diplomatica – è prevalso davanti a quella che è sembrata un'ulteriore perdita del proprio territorio nazionale”.

In poche parole, tra russofoni andati via e russofoni rimasti ma a sostegno dell'Ucraina, l'est del Paese ha subito un processo di “ucrainizzazione”. Uno degli elementi che probabilmente ha dato più fastidio a Mosca e che ha spinto il Cremlino a intervenire militarmente. Ora che i soldati russi sono sul terreno, si starebbe provando a imporre il processo opposto. Ossia “russificare” la zona, cacciando ucrainofoni oppure russofoni che non sostengono le azioni di Mosca.

“Un subdolo piano calcolato”

Di questo, come detto, ne è convinto Agostino Miozzo osservando gli ultimo movimenti sul terreno. L'arresto del sindaco di Melitopol, rimpiazzato da un primo cittadino ucraino sì ma filorusso, ne sarebbe un esempio. Miozzo nella sua intervista fa un riferimento ai primi corridoi umanitari voluti per Mariupol e le altre zone sotto attacco.

“I negoziatori russi, all'inizio – si legge tra le sue dichiarazioni – volevano autorizzare soltanto i corridoi umanitari verso la Russia, Paese degli invasori. Cosa le fa pensare? Una forzatura che di fatto avrebbe significato la pulizia etnica obbligata del territorio”.

“È una pulizia etnica più scientifica e modulata – ha proseguito l'operatore della Protezione Civile – dal bombardamento delle città all'offerta di scappare da una zona difficile. Gli si dice: vieni a casa mia, usa la mia moneta, la mia lingua e sei salvo. Un'offerta, però, fatta con il mitra in mano. Un vero patto col diavolo, che si può accettare solo in una situazione di disperazione. Una forma nuova e originale, ben concertata. Un esercizio sofisticato. Oltretutto nei confronti di un popolo che sta invece resistendo”.

Sul campo intanto i russi stanno cercando di prendere definitivamente Mariupol, oramai ridotta allo stremo e difesa dagli uomini della

battaglione Azov. Forse oggi nuovi corridoi umanitari potrebbero portare altri civili a nord, nella città di Zaporizhzhia, rimanendo perciò in territorio ucraino ma fuori dalle regioni attigue al Donbass.

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