L’ americano è stato un romanzo-chiave per la mia carriera. L’ispirazione di questa storia mi è stata fornita da alcuni episodi della mia infanzia e dalla storia della mia famiglia. Mio padre ha lavorato per trent’anni al Banco di Napoli, la più importante banca del Sud Italia, una delle più antiche al mondo, che a metà degli anni Novanta è fallita. Sono cresciuto in quartiere alla periferia di Napoli, vivevamo a stretto contatto tra persone e famiglie molto diverse, così poteva accadere che il figlio di un impiegato di banca diventasse (come succede ai protagonisti del romanzo) il miglior amico del figlio di un camorrista.
Anche se non sono il tipo di scrittore che ama lanciare messaggi, l’idea di fondo del romanzo è che bene e male non sono poi così distanti tra loro e non sempre ciò che appare come bene, in realtà, è davvero il Bene, così come ciò che ci sembra male non sempre è il Male. Ciò che unisce davvero le persone sono le imperfezioni e i fallimenti reciproci, le sofferenze e le gioie che ne definiscono la relazione.
Nel mio viaggio in Cina, a giugno del 2019, ho incontrato tanti lettori cinesi che hanno amato questa storia, ed è stato incredibile scoprire quanto il tema dell’amicizia che attraversa il romanzo fosse percepito alla stessa identica maniera della mia città di mare nel Sud Italia. Questo perché l’amicizia è un sentimento universale, che non conosce confini e che parla un’unica lingua. Quella della lealtà e del coraggio che parlano i due protagonisti di questa storia, Leo detto “L’americano”, figlio del criminale, e Marcello, il figlio dell’impiegato di banca. A ben pensarci, guardando al periodo di lockdown in cui gran parte dell’umanità si è ritrovata a vivere in questi mesi, l’amicizia è ciò che ci è mancato di più. Quel sentimento di condivisione e rispetto che ci ha portati tutti a indossare una mascherina per proteggere se stessi e l’altro. Se dovessi definire l’amicizia con una parola è questa: protezione, prendersi cura. Lo abbiamo sperimentato tutti.
L'impatto del virus
Ovviamente il virus ha avuto un impatto notevole sulla vita di tutti, ma non tutti hanno reagito allo stesso modo, perché ognuno ha dovuto affrontare quest’esperienza da una situazione di partenza diversa. Personalmente mi reputo fortunato, ho una casa sufficientemente grande, ho un terrazzino, molti libri, film e musica a disposizione. In più ho avuto la possibilità di uscire di casa per andare nella redazione del mio giornale tutte le volte che ne ho avuto bisogno, perché da giornalista mi è stato consentito.
Ma non tutti sono fortunati come me e questo non posso dimenticarlo. Non mi sono ammalato, mentre in tanti sono morti, tantissimi hanno perso i propri cari, oppure sono finiti in ospedale, oppure ha dovuto trascorrere questo lungo periodo in appartamenti poco vivibili, dove magari c’erano i propri parenti, ma nessun volto “amico”, nessun “americano” come nel mio libro. Forse il bisogno d’amicizia è ciò che la pandemia ci lascerà come insegnamento più profondo, o almeno lo spero. Come ogni evento epocale, anche il virus influenzerà l’arte. Ma questo è relativo, perché in letteratura il tempo è un tempo circolare e probabilmente
il coronavirus c’è stato già.
In ogni caso, tutti noi in un modo o nell’altro scriveremo dell’epidemia, soprattutto di come ci avrà cambiati. Il punto è come lo faremo e quanto sarà utile ai lettori e alla costruzione di un mondo migliore e più giusto, dove nessuno si salva da solo. Questo è il momento di ripensare noi stessi come cittadini del mondo, come essere umani e non pensare a egoistici interessi nazionali.
Massimiliano Virgilio
- L’autore è scrittore, autore, giornalista. Tra i suoi romanzi Arredo casa e poi m’impicco (2014), L’americano (2017, tradotto in Cina, Russia e Giappone e che diventerà una serie televisiva) e Le creature (2020)- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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