Lee Yae-yong, vicepresidente di Samsung ed erede designato del colosso sudcoreano dell'elettronica, è stato condannato a 5 anni di carcere. La Corte di Seul lo ha ritenuto responsabile di corruzione: Lee andrà in carcere, come già successo al padre Park Geun-hye. Termina nel peggiore dei modi, almeno per il diretto interessato, quello che in Sud Corea era stato definito "il processo del secolo", che ha catturato l'attenzione di gran parte dell'opinione pubblica del Paese.
L'erede di una delle più importanti aziende sudcoreane era finito in cella nel febbraio scorso a seguito dell'inchiesta che ha fatto tremare il Paese. La Procura di Seul aveva chiesto per Lee 12 anni di carcere, rinfacciandogli contemporaneamente cinque capi d'accusa, tra cui corruzione, appropriazione indebita e trasferimento illegale di fondi all'estero.
A Lee, 49 anni, non è bastato sostenere di non essere a conoscenza di tutte le attività dell'azienda di cui è stato vicepresidente. Infatti, Samsung è un gruppo che controlla 60 società strettamente collegate tra di loro. In base alla sentenza del Tribunale di Seul, Lee risulta essere stato al centro dello stesso sistema di mazzette che aveva già portato in carcere il padre Park.
Lee è stato condannato a 5 anni di carcere per avere pagato tangenti per 38 milioni di euro, al fine di ottenere dal governo il sì alla fusione delle 60 società che compongono il gruppo Samsung: un'operazione con cui il rampollo dell'azienda avrebbe ottenuto il controllo totale della stessa, mettendo fine all'impero del padre malato (e che alcuni danno già per morto).
La sentenza di condanna potrebbe avere effetti deleteri sullo stato di salute del gruppo, già messo a dura prova dal flop del Galaxy Note 7, ritirato in fretta e furia dal mercato per alcuni difetti di fabbricazione che
avevano causato l'esplosione di alcuni esemplari. E proprio nelle ultime ore Samsung aveva lanciato il nuovo Galaxy Mini 8.Lee sarà portato nella prigione di Uijeongbu, che in passato ha già ospitato detenuti eccellenti, tra cui primi ministri e capi di multinazionali.
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