L'Egitto non collabora, o comunque non abbastanza. Ne è certa la procura di Roma, che ha chiesto di nuovo agli inquirenti del Cairo di fornite all'Italia tutte le carte legate all'inchiesta Regeni, perché si possa procedere ad analizzarle, dopo la traduzione dall'arabo, per provare a venire a capo di una vicenda su cui ancora molti sono i punti in sospeso.
Da più di un mese in Egitto ci sono tre uomini del Ros e tre dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia. Un team inviato allo scopo di affiancare chi sta conducendo le indagini, per contribuire al fascicolo aperto a Roma, dove è già stato fatto tutto ciò che si poteva fare.
Secondo la magistratura italiana al Cairo non hanno troppa voglia di aiutare gli italiani a venire a capo dell'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore 28enne ritrovato fuori dalla Capitale senza vita e con addosso i segni della tortura. Agli atti che sono stati forniti mancherebbero i dati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metro o negozi del quartiere dove viveva il giovane friuliano, sparito il 25 gennaio, nel giorno dell'anniversario della rivoluzione.
Intanto il ministero dell'Interno egiziano continua a dire che Regeni non è stato torturato dagli apparati di sicurezza egiziani.
Un'affermazione che sembra in diretto contrasto con i segni trovati sul corpo del ricercatore e con quanto detto il primo marzo dalla Reuters, con due fonti della procura che parlavano di sette giorni di torture prima della sua morte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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