In tribunale per un'emoji, quando le faccine finiscono a giudizio

Un docente dell'Università di Santa Clara ha analizzato i casi in cui, negli Stati Uniti, a giudizio sono finite anche le emoticon, che, però, non sono ancora determinanti, né hanno il potere di ribaltare le sentenze. I casi, però, nel mondo, sono sempre di più

In tribunale per un'emoji, quando le faccine finiscono a giudizio

"Teamwork make the dream work". Che, tradotto, significa "Il lavoro di squadra consente di raggiungere ogni sogno". Nel messaggio, però, oltre al testo ci sono anche le emoji della scarpa con il tacco a spillo e un sacchetto di denaro. E, secondo alcuni giudici di un tribunale della Baia di San Francisco, questo scambio su Instagram, tra un uomo e una donna, costituirebbe la prova di un reato. Lo sfruttamento della prostituzione. Per l'accusa il messaggio implicherebbe una relazione "lavorativa" fra i due, per la difesa solo l'inizio di una relazione.

Ed è per questo che, in alcune circostanze, un'emoticon può essere considerata una prova o un inidizio all'interno di un procedimento giudiziario. E, secondo quanto riportato da Repubblica, i casi sono diversi. Soprattutto negli Stati Uniti.

Lo studio di Goldman

Un professore dell'università di Santa Clara, Eric Goldman, in questi mesi, ha analizzato l'uso di riferimenti alle emoji nelle sentenze delle corti americane. In 15 anni, fra il 2004 e il 2019, è stata stimata una crescita in termini di numeri, che tocca il picco di circa 50 giudizi l'anno. Le cifre, al momento, non sarebbero però precise, visto che un censimento completo non esiste. I database consultati da Goldman, Westlaw e Lexis, spesso non contano le pratiche che contengono emoticon. Nel 2018, per esempio, si sarebbero contati 53 casi contro i 33 dell'anno precedente.

Emoji utilizzate per stalking e omicidi

Negli anni, sarebbe stato accertato l'uso di pittogrammi anche in casi di stalking sessuale, furti e omicidi: "Se ne trovano nel penale ma anche nel civile". E la spiegazione, secondo il docente americano, riguarderebbe il tipo di relazione tra due persone: "Vediamo emoji più frequentemente quando i casi coinvolgono le persone e il loro rapporto l'uno con l'altra". Nei casi di omicidio, per esempio, le emoticon arriverebbero prima e sarebbero inserite nelle minacce spedite dall'assassino alla vittima magari poco prima dell'aggressione. E in tribunale potrebbero servire da evidenza in grado di suggerire la propensione o l'intenzione di compiere un gesto in particolare, ma non sono così rilevanti da poter ribaltare le decisioni dei giudici.

I casi nel resto del mondo

I simboli, utilizzati in tutto il mondo, a quasi ogni livello comunicativo, inventati da Shigetaka Kurita, si sono diffusi in Giappone alla fine degli anni Novanta. E non sono finiti soltanto nelle corti americane. In Israele, una coppia è stata condannata a pagare migliaia di dolalri dopo che un tribunale aveva stabilito come il loro utilizzo di quei pittogrammi fosse "eccessivamente entusiastico": dopo aver visitato un appartamento libero per l'affitto, la coppia aveva risposto al proprietario tramite messaggi e simboli. Tra cui una bottiglia di champagne, uno scoiattolo e una cometa. La corte israeliana, in quel caso, aveva stabilito che i due avessero illuso il proprietario di essere intenzionati a sottoscrivere il contratto. I due, infatti, avevano smesso di rispondere ai messaggi dell'uomo. Per i giudici si è trattato di "cattiva fede" visto che "le icone manifestavano grande ottimismo", dando l'idea che l'affare fosse concluso. Nel 2015, invece, in Francia, un 22enne è stato condannato a sei mesi di carcere, e mille euro di multa, per aver spedito l'emoji di una pistola alla sua compagna minorenne. I giudici di Valence avevano valutato l'immagine come una "minaccia reale".

Il problema del loro significato

E se un'emoticon può avere un particolare significato in base ai vari Paesi e alle culture d'appartenenza, va aggiunta anche la diversa resa delle immagini da

una piattaforma all'altra o nei diversi sistemi operativi: la grafica delle emoticon, infatti, varia a seconda del tipo di smartphone. Il che implica una diversa ricaduta giuridica e molte interpretazioni.

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