Come in molte altre tornate elettorali, le imminenti elezioni americane di midterm si stanno rivelando per molti politici un'occasione perfetta per fare chiarezza sul loro passato e sulle loro vicende personali, allo scopo di giungere al giorno delle votazioni con meno scheletri nell'armadio possibili. È di ieri la notizia che la senatrice del Partito Democratico Elizabeth Warren, già economista presso l'Università di Harvard ed attualmente in corsa per la rielezione nel suo seggio in Massachusetts, ha reso noti i risultati del test del Dna a cui si era precedentemente sottoposta e che evidenziano come tra i suoi geni vi siano tracce di antenati nativi americani; un annuncio che segna con molta probabilità la chiusura dell'annoso dibattito sulle origini della senatrice. Negli ultimi mesi infatti molti esponenti repubblicani avevano pubblicamente dubitato delle affermazioni della Warren sulla sua ascendenza nativa, arrivando ad accusarla di essersi dichiarata parte di una minoranza solo per poter ottenere vantaggi professionali nel periodo in cui insegnava all'università. Lo stesso Presidente Donald Trump, in un comizio tenuto lo scorso 5 luglio, aveva apostrofato la Warren come "Fake Pocahontas", aggiungendo inoltre che avrebbe personalmente donato un milione di dollari ad un'associazione benefica a sua scelta se fosse riuscita a dimostrare le sue origini native.
L'annuncio ufficiale dei risultati del test genetico è stato affidato ad un video, pubblicato sul sito internet dei Democratici del Massachusetts, in cui si può vedere la senatrice tornare a Norman in Oklahoma, suo paese natale, per farsi raccontare dai suoi fratelli maggiori la storia della loro famiglia e delle loro radici indiane d'America. Il racconto, intervallato da spezzoni audio di Trump e di altri politici repubblicani intenti a prendere in giro la Warren, prosegue giungendo fino a Sarah Smith, la bis bis bisnonna della senatrice, appartenente alla tribù dei Cherokee. Nel filmato si vede inoltre come numerosi suoi colleghi universitari smentiscano le voci di ipotetici vantaggi accademici da lei ottenuti facendo leva sul proprio retaggio culturale.
Successivamente, il video prosegue commentando i risultati dei test assieme a Carlos Bustamante, professore di genetica, biologia e biomedicina presso l'Università di Stanford, oltreché consulente di analisi genetica per Ancestry.com e 23andMe nonché per il programma televisivo della Pbs "Finding your roots" (Alla ricerca delle tue radici). Dopo la domanda della Warren, che chiede: "Il presidente Trump ama dire che mia madre è una bugiarda. Cosa dicono però i fatti?" il professor Bustamente spiega: "I fatti suggeriscono come nel tuo pedigree sia presente un antenato nativo americano. Nel genoma della senatrice abbiamo trovato cinque segmenti che con estrema sicurezza possiamo affermare appartenere a Dna nativo americano. Crediamo inoltre che in questi casi la possibilità di un errore sia nell'ordine di una su mille". Come precisato poi dal quotidiano Boston Globe, che ha riportato i risultati completi delle analisi di Bustamante, i tecnici di laboratorio che hanno condotto il test non erano a conoscenza della reale identità della donatrice.
Tuttavia, nell'articolo del Boston Globe viene anche affermato come i probabili dubbi sui risultati del test possano essere facilmente usati dai sostenitori di Trump e dagli avversari politici della Warren per attaccarla, nel caso quest'ultima decidesse di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2020. Secondo la reporter Annie Linskey infatti, il professor Bustamante è stato costretto ad utilizzare un metodo piuttosto creativo per poter stabilire l'effettiva presenza di geni nativi all'interno del genoma della senatrice, a causa della scarsità di dati genetici sui nativi americani presenti all'interno delle banche dati statunitensi. Come riporta l'articolo infatti: "Rilevare il Dna dei nativi americani è particolarmente difficile data l'assenza di Dna nativo disponibile per le comparazioni genetiche. Questo accade perché i leader delle nazioni indiane hanno chiesto ai membri delle loro tribù di non fornire i propri dati ai database genetici. Come ha spiegato il ricercatore di genomica medica del National Institute of Health Lawrence Brody, le varie tribù hanno percepito la richiesta di raccolta del patrimonio genetico come un'azione di sfruttamento". Per poter compensare la mancanza di materiale genetico nativo il professor Bustamante ha quindi dovuto fare affidamento su campioni provenienti dagli indios di Messico, Perù e Colombia, considerati molto vicini geneticamente ai nativi americani poiché facenti parte delle stesse popolazioni che 12.000 anni fa attraversarono lo Stretto di Bering per giungere nelle Americhe dalla Siberia.
La notizia delle reali origini della senatrice Warren ha però sollevato numerose critiche - oltre che dai sostenitori di Trump - anche da parte delle associazioni per i diritti degli indiani d'America, che hanno trovato di cattivo gusto il fatto che una persona bianca possa far leva sulle sue ipotetiche ascendenze native anche quando queste sono in quantità irrisoria (per la Warren le origini native risalgono addirittura dalle sei alle dieci generazioni fa, vale a dire appena 1/1024 di sangue pellerossa). Chuck Hoskin Jr. segretario di stato della Nazione Cherokee (le tribù native riconosciute dal governo statunitense sono definite Nazioni) ha infatti dichiarato: "Il test dei Dna è inutile al fine di determinare l'appartenenza tribale, poiché gli attuali test del Dna non possono stabilire se un nativo proviene dal Nord o dal Sudamerica. Usare un test del Dna per rivendicare un qualsiasi legame con la Nazione Cherokee o qualsiasi altra nazione tribale, anche vagamente, è inappropriato e sbagliato. Ciò vuol dire farsi beffe dei test del Dna e dei suoi usi legittimi oltreché disonorare i legittimi governi tribali e i loro cittadini nativi americani, i cui antenati sono ben documentati e la cui eredità è dimostrata".
Oltre ai legittimi dubbi scientifici emersi nella vicenda la Warren dovrà quindi fare i conti anche con l'accusa di appropriazione culturale, un fenomeno che negli ultimi anni ha infiammato il dibattito politico americano. Secondo molti infatti l'utilizzo da parte di una società dominante di elementi culturali provenienti da altre culture - o in questo caso la reclamazione di appartenenza ad una minoranza etnica basandosi su di un'ascendenza irrisoria - rappresenterebbe una forma di oppressione nei confronti della suddetta minoranza, che si vedrebbe ridotta a un mero stereotipo razziale.
A conferma di questa tesi, l'attivista nativa Rebecca Nagle ha così commentato la questione su Twitter: "Mentre Elizabeth Warren non si identifica più come nativa, continua a dichiarare pubblicamente che la sua famiglia è "in parte nativa americana". Non c'è niente di innocente in una donna bianca che sostiene che la sua famiglia abbia subito un genocidio o una pulizia etnica - quando in realtà non è così".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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