Il presidente Trump non appoggerà la proposta avanzata dal presidente Putin di organizzare un referendum nel Donbass per delegare alla popolazione locale la scelta del loro assetto istituzionale.
Durante il recente vertice a Helsinki il presidente russo, particolarmente sensibile al vicino conflitto, aveva suggerito l'idea di risolvere la spinosa questione del Donbass con una consultazione democratica. Tutte le altre strade percorse finora si sono infatti rivelate inutili, a partire dalle azioni di forza attuate da Kiev fino alle iniziative diplomatiche culminate negli accordi di Minsk del 2015, rispettati solo nella fase iniziale e ormai violati costantemente da entrambe le parti.
Secondo Garret Marquis, portavoce del National Security Council della Casa Bianca, il rispetto degli accordi di Minsk è la chiave di volta per una soluzione della guerra in Ucraina e non ha senso pianificare un referendum in zone fuori dal controllo di Kiev poichè senza legittimità e suscettibile di brogli. Di parere opposto è Igor Plotnitsky, leader della repubblica di Lugansk, una delle due entità ribelli del Donbass, secondo cui un referendum nelle regioni separatiste sarebbe valido e avrebbe un risultato identico a quello emerso in Crimea.
Il referendum ipotizzato da Putin non sarebbe stato il primo svolto in quelle terre; già nel 2014 le nuove autorità legate ai ribelli avevano indetto una consultazione popolare nelle zone sotto il loro controllo con un risultato schiacciante a favore dell'indipendenza. Tuttavia il mondo occidentale non ha riconosciuto tale votazione perché organizzata senza la partecipazione di Kiev; l'idea di Putin mirava dunque a superare questo aspetto coinvolgendo le autorità ucraine con il beneplacito degli Stati Uniti.
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