È ancora presto per stabilire quali saranno le ripercussioni che il tentato colpo di Stato avrà sulle dinamiche politiche in Turchia, ma quanto accaduto la notte dello scorso 15 luglio ha già comportato almeno un cambiamento: il riavvicinamento, se anche fosse momentaneo, tra il governo e l'opposizione repubblicana (Chp), in nome di una "democrazia" che gli stessi sostenitori del partito considerano comunque meglio di una giunta militare.
Una prima condanna del colpo di Stato, univoca e da parte di tutte le formazioni che hanno un peso nell'assemblea turca, era arrivata già la notte stessa del fallito golpe. Tutti, dai filo-curdi (Hdp) agli ultra-nazionalisti (Mhp), si erano schierati contro i carri armati scesi in strada. Abbastanza da giustificare un certo ottimismo di parte della stampa turca, che parla di un clima politico meno teso del solito.
Se l'opposizione repubblicana ha votato in parte contro la decisione di imporre la legge d'emergenza (Ohal) per tre mesi, domenica ha però riunito la sua base a Taksim, iconica piazza d'Istanbul, in una manifestazione a cui hanno accettato di partecipare anche esponenti dell'Akp e che i racconti della giornata definiscono come il convergere di persone di istanze politiche diverse. Solo bandiere con la mezzaluna e la stella e manifesti con il volto del padre della patria Mustafa Kemal Ataturk in piazza, nessuno segno politico ammesso.
"Il golpe del 15 luglio mostra un'immagine da Paese del terzo mondo", ha arringato la folla il leader del partito Kemal Kilicdaroglu, leggendo i dieci punti del "Manifesto di Taksim" del suo partito. Ha messo l'accento sulla necessità di "controlli e contrappesi" più forti al sistema parlamentare turco, e sul rispetto della legge, in un momento in cui Amnesty International scrive di torture tra i detenuti. Non ha però calcato troppo la mano contro l'Akp, tanto che un editoriale pubblicato dal quotidiano Hurriyet oggi si chiede se il Chp possa diventare "il miglior partner di Erdogan".
A Istanbul c'erano in piazza tanto i repubblicani quanto uomini del partito di maggioranza, a cui un invito era stato esplicitamente rivolto. A mancare erano i sostenitori del Hdp filo-curdo, partito d'opposizione a più riprese accusato di essere il ramo politico del Pkk, considerato dalla Turchia un'organizzazione terroristica. Il co-leader del partito, Selahattin Demirtas, ha parlato sì a Istanbul, ma lo ha fatto sabato, ribadendo con chiarezza la differenza tra dire "no" al colpo di Stato e dire "sì" a Erdogan.
"Siamo un partito politico che ha ricevuto sei milioni di voti e la terza formazione più grande in parlamento", ha detto oggi Demirtas, commentando l'esclusione da un incontro al palazzo presidenziale di Bestepe, appena fuori Ankara, a cui hanno preso invece parte il presidente Erdogan e i leader delle altre tre formazioni parlamentari: Kemal Kilicdaroglu (repubblicani), Devlet Bahceli (ultra-nazionalisti) e Binali Yildirim (primo ministro e numero uno dell'Akp).
"È stato un incontro positivo", hanno commentato alla stampa turca fonti vicine al Chp, mentre il segretario generale Kamil Okyay Sindir parlava di "un periodo straordinario per il Paese", spiegando così la posizione del partito, in passato estremamente critico dei governi dell'Akp. Una volta passato le posizioni potrebbero tornare a polarizzarsi.
Con di fronte tre mesi di stato d'emergenza e un'ampia caccia in atto ai sostenitori del golpe, che sta colpendo l'esercito, la magistratura, ma pure il mondo accademico, in un'ondata di fermi e sospensioni che soprattutto la stampa occidentale considera la copertura per una più ampia repressione, la Turchia deve comunque confrontarsi anche con problemi che non si sono interrotti con il fallito golpe, come la situazione del sud-est del Paese.
Ancora oggi tre poliziotti sono morti quando un ordigno è esploso nella zona di Mardin, a maggioranza curda, in un attacco del Pkk che ha preso di mira il blindato su cui viaggiavano. Negli ultimi mesi, secondo dati del Crisis Group, sono almeno 1.700 le vittime dello scontro in atto: civili, militanti e uomini delle forze di sicurezza.
Ora che Erdogan è sopravvissuto al colpo di Stato, dimostrando con la mobilitazione popolare il sostegno di cui gode, resta da chiedersi cosa succederà nell'agone politico. Il desiderio del presidente resta quello di trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale. Una riforma per cui, fino a metà luglio, non aveva i numeri necessari.
"Con il fallito colpo di Stato - scrive in un commento per l'European Council on Foreign Relations Asli Aydintasbas, specialista di Turchia - non solo ha consolidato il suo potere, ma anche
creato una nuova narrativa di resistenza ed eroismo". Il presidente turco potrebbe scegliere ora di sfruttare (o di non farlo) un capitale politico potenzialmente più ampio per raggiungere il suo obiettivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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