Per gentile concessione di Salerno editrice pubblichiamo un estratto di La Corea di Kim. Geopolitica e storia di una penisola contesa di Stefano Felician Beccari
La Corea del Nord vanta il non piacevole primato di essere il solo stato al mondo a effettuare test atomici nel XXI secolo e probabilmente uno dei piú attivi in materia di proliferazione nucleare, ovvero il rapido aumento del proprio arsenale nucleare. Ma per inquadrare correttamente la dimensione militare della Corea del Nord occorre allontanare lo sguardo dal mero elemento militare (arsenale disponibile, vettori, numero di testate, presenza di armi termonucleari) o da quello scientifico (esperimenti svolti, portata) per esaminare quali siano le ragioni che hanno spinto la Corea del Nord a creare questo arsenale e quali siano le implicazioni che sostengono, ancora oggi, una scelta ritenuta moralmente inaccettabile agli occhi della comunità internazionale. Come ricorda Clemens, la «ricerca di una capacità nucleare è un elemento perdurante nella politica nordcoreana» e praticamente si può far risalire alla creazione della stessa Corea del Nord. Anzi, la minaccia del generale MacArthur di usare le armi nucleari nel conflitto coreano (« il suo dito era sul grilletto nucleare») retrodata indirettamente la “presenza” nucleare nella penisola ai primi anni '50. Con il ricordo ancora vivido dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki di pochi anni prima e conscio delle implicazioni geopolitiche, militari e morali che l’uso delle armi nucleari avrebbe avuto, l’allora presidente Truman decise di rimuovere MacArthur proprio perché in disaccordo con l’opzione suggerita dal generale. Lo spettro nucleare, quindi, da quel momento iniziò a stagliarsi sulla penisola coreana.
Dopo la guerra, già negli anni ’50, Kim Il-sung chiese ripetutamente ai sovietici la fornitura di capacità nucleari civili, cosa cui Mosca acconsentí sulla base di alcuni accordi bilaterali. Negli anni ’60 venne cosí costruito il famoso reattore di Yongbyon, principale installazione nucleare della Corea del Nord e spesso al centro delle polemiche inerenti alle capacità atomiche di Pyongyang. Il progressivo isolamento del Nord negli anni ’70 e poi ’80 portò a una latente sfiducia della leadership del Nord nei confronti dei due importanti vicini, e consolidò quindi le intenzioni di Kim Il-sung di rafforzare autonomamente il programma nucleare, andando ben oltre i legittimi scopi civili inizialmente prefissati; eppure, sotto le pressioni sovietiche, nel 1985 Pyongyang firmò il Trattato di non proliferazione nucleare (Npt). L’opzione nucleare sembrava allontanarsi dalla penisola quando, nel 1991, gli Stati Uniti ritirarono le proprie armi nucleari dal Sud; una seguente dichiarazione fra le due Coree (1992, Dichiarazione congiunta sulla denuclearizzazione della penisola di Corea) sembrava quindi chiudere la porta a ulteriori sviluppi nucleari. Gli intenti, per quanto nobili, furono ben presto perturbati dalla reticenza del Nord a permettere le ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea) e dalla minaccia di abbandonare il Npt; nel 1993 il tentativo di abbandono venne evitato in extremis, ma rappresentò un pericoloso precedente nella travagliata storia nucleare del Nord. In cambio Pyongyang ricevette aiuti in petrolio e altre risorse, disperatamente necessarie vista la pesante crisi che si era ab-
battuta sul paese.
Nel corso degli anni ’90, data la grave situazione interna, il programma nucleare non fece grandi passi avanti; con l’arrivo del XXI secolo, invece, vi fu una ripresa di attività che perdura praticamente sino ad oggi, ed è stata contrassegnata dal ritiro della Corea del Nord dal Npt (2003) e dall’ammissione della presenza di un programma militare nucleare. I successivi tentativi di negoziazione con Pyongyang nell’ambito dei cosiddetti “dialoghi a sei” (Six-Party Talks, che coinvolgono Usa, Cina, Russia, Giappone e le due Coree), nonostante le iniziali premesse positive, non ebbero riscontri concreti; anzi, il primo esperimento di un ordigno nucleare, avvenuto il 9 ottobre 2006, segnò la “definitiva” conquista dell’arma atomica da parte di Pyongyang. Per quanto la potenza dell’ordigno fosse limitata (meno di un kilotone) la “linea rossa” sembrava ormai passata, e la retorica del governo esaltava con forza l’importante successo della tecnologia nordcoreana. L’immediata adozione di sanzioni da parte delle Nazioni Unite iniziava una procedura “standard” che è rimasta in vigore fino ad oggi, e che ha sempre visto aumentare il peso delle costrizioni internazionali dopo i vari esperimenti nucleari del Nord, in un insieme complesso di negoziazioni e contro-negoziazioni, aperture e minacce, tensioni e momenti di détente: il risultato finale, però, non è stato quello dell’agognata denuclearizzazione della penisola. Anzi, nel corso degli anni Pyongyang ha lentamente ma costantemente insistito con la sua capacità nucleare effettuando diversi altri test che sono stati puntualmente criticati dalla comunità internazionale e anche dalla stessa Cina.
L’arrivo al potere di Kim Jong-un non ha rallentato il ritmo dei test, ma anzi, in forza dell’approccio ideologico “informalmente” adottato dal terzo Kim, ha portato un loro intensificarsi, fino al culmine del 2016, in cui vennero testati due ordigni. L’ultimo test, in ordine cronologico, è quello del 3 settembre 2017, quando la Corea del Nord ha annunciato di aver testato nientemeno che una bomba all’idrogeno (nota anche come bomba H o bomba termonucleare), un salto in avanti notevole per l’arsenale di Pyongyang.
Gli ultimi test, frutto anche delle crescenti tensioni geopolitiche, hanno continuato a catalizzare le critiche internazionali, portando a un inasprimento delle sanzioni e a un sostanziale isolamento del paese. Ma allora, viene da chiedersi, per quale motivo la Corea del Nord sta così insistentemente continuando la sua ricerca nucleare?
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