La guerra non va in vacanza nemmeno d'estate. Anzi in Ucraina è proprio agosto il mese più caldo, e non parliamo certo di temperature, ma dell'intensità dei combattimenti. Era agosto dello scorso anno, quando centinaia di soldati e volontari dell'esercito ucraino perirono nella morsa separatista: Ilovaisk fu una dura sconfitta per Kiev, di cui si fa appena in tempo a celebrare l'anniversario (7 agosto, l'inizio del sacco) per scoprire che si tratta di una ferita ancora aperta, perchè il conto dei morti è stato appena riaggiornato. Secondo i dati pubblicati pochi giorni fa dall'agenzia giornalistica ucraina Unian, sarebbero 366 i morti accertati di quel massacro e le indagini che proseguono potrebbero portare questo numero a salire ancora.
È di nuovo agosto, e all'Ucraina sanguinante tocca ancora fare la voce grossa: "Noi useremo il nostro intero arsenale e tutti i mezzi a nostra disposizione per respingere l'assalto nemico - afferma il portavoce militare ucraino Vladyslav Seleznyov - Non possiamo rischiare le vite dei nostri soldati". Nelle ultime ore si sono registrate decine e decine di violazioni dell'incerta tregua, persino gli osservatori dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) si sono trovati in mezzo ai fuochi incrociati dei due eserciti. Secondo il presidente ucraino Petro Poroshenko, 200 ribelli hanno usato un carro armato per prendere d’assalto il villaggio di Novolaspa, a metà strada tra Donetsk, centro strategico dei separatisti, e il porto di Mariupol, considerato uno dei prossimi obiettivi dei ribelli, perchè la sua posizione geografica porrebbe le basi per la creazione di un collegamento tra il Donbass separatista e la Crimea, già annessa alla Russia dopo il referendum del marzo 2014. L’accusa del presidente ucraino è stata respinta al mittente dai separatisti, che dichiarano la zona già sotto il controllo dell’autoproclamata Repubblica indipendentista di Donetsk e accusano Kiev di aver sparato 500 colpi di mortaio contro le loro già consolidate posizioni.
I bombardamenti in queste ore continuano e non solo a Novolaspa, ma anche a Horlivka, a Debaltzeve e a Peski, nei pressi dell'aeroporto di Donetsk. I bombardamenti nel Donbass non fanno più notizia, perchè la tregua stabilita a febbraio con la seconda sessione degli accordi di Minsk è accompagnata da un sottofondo di esplosioni, a cui ormai i media internazionali (e in particolar modo nazionali) si sono abituati. Sono quasi noiosi i quotidiani report della missione di monitoraggio in Ucraina dell'Osce: non passa un giorno in cui non si registrino violazioni della tregua, le esplosioni avvengono su tutta la linea del fronte, in particolar modo di notte e al mattino presto. Ogni giorno 9, 3, 5, 7 morti, fino ai quasi 7mila (tra soldati, ribelli e civili) stimati dalle Nazioni Unite dall'inizio del conflitto a oggi.
La pace in Ucraina è lontana, un miraggio, e ce lo confermano fonti vicine alla presidenza. Perchè la pace nessuno la fa, come dimostrato dall'ennesimo nulla di fatto dello scorso 3 agosto a Minsk (Bielorussia): l'incontro tra la delegazione ucraina, quella russa e quella dei ribelli avrebbe dovuto gettare le basi per la creazione di una zona tampone di 30 chilometri liberata dall'artiglieria pesante (armi superiori ai 100mm di calibro), ma è miseramente fallito. E la pace nessuno sembra volerla, né la Russia che continua il suo gioco di presenza ai tavoli e presunta assenza dal campo di battaglia, né i ribelli decisi a conquistarsi la piena indipendenza, né il governo di Kiev dal quale partono ordini militari poco precisi e talvolta anche poco sensati, come ci riferiscono fonti delle forze armate. Persino il premier Yatsenyuk, che ha lanciato l'operazione antiterrorismo ormai da quasi un anno e mezzo, pochi giorni fa ha dichiarato in un incontro a Kiev con i paramilitari volontari che la risoluzione del conflitto “è molto lontana”.
Eppure "la pace, subito" è quello che chiedono gli ucraini di entrambi i fronti: quelli che sono stati costretti a scappare (oltre un milione e mezzo secondo le stime al ribasso dell'Unhcr, Alto Commissariato Onu per i Rifugiati), quelli che sono rimasti nelle loro case per affezione o in rifugi di fortuna per impossibilità di spostarsi, quelli impegnati nel volontariato in zona di guerra, quelli che si occupano di profughi e rifugiati, quelli emigrati che si dedicano a tenere alta l'attenzione sul conflitto anche fuori confine o che raccolgono soldi da mandare in patria, quelli che combattono da una parte e
dall'altra, obbedendo o disobbedendo, ma sempre sperando di tornare vivi a casa. Gli ucraini che vogliono “la pace subito” sono i più, e sono proprio loro che la guerra sono costretti a farla e a subirla, senza sceglierla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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