Viaggio nella contea più povera d'America

La contea di Ziebach, in Sud Dakota, è una delle più povere degli Stati Uniti, con un tasso di disoccupazione del 47%. Lì vivono quasi solo nativi americani, la minoranza più povera e abbandonata di tutto il Paese

Viaggio nella contea più povera d'America
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La contea di Ziebach, in Sud Dakota si trova a fatica sulle carte stradali. Lì poco meno di 3 mila anime vivono sparpagliate nel deserto della grande prateria nordamericana. Un fazzoletto di terra dove poco meno di un secolo fa spariva la frontiera e la grande epopea del bisonte e dei pellirossa, per parafrasare il finale del film di Kevin Kostner, Balla coi Lupi del 1991. Oggi Ziebach si contende il triste primato con altre contee degli Stati Uniti di quella più povera e depressa di tutta l’Unione, immense periferie dell’impero americano lontano dai soldi e dai riflettori cui ci ha abituato lo Zio Sam.

Ziebach è quindi la più povera in assoluto? In realtà non c’è un indicatore preciso che permetta di stabilire qual è davvero la più povera. Quale dato considerare? il numero di persone sotto la soglia di povertà? Il reddito pro capite? O reddito famigliare? Presi in esame da soli Ziebach viene superata da altre contee, come Wheeler o Clay in Georgia che fanno peggio sul fronte dei redditi, ma su queste “pesa” l’ampia popolazione carceraria detenuta nelle strutture della regione. Ziebach, invece, ha un reddito famigliare leggermente più alto, ma soprattuto ha il 47,7% dei suoi abitanti sotto la soglia di povertà.

Ma Ziebach ha anche un altra storia peculiare: ospita parte di due riserve indiane: la Cheyenne River e la Standing Rock. Il 74.9% della popolazione locale è infatti composta da nativi americani contro un 21,8% di bianchi. Basterebbero questi pochi numeri per capire quanto quei territori mostrino i segni di un’integrazione mancata e soprattutto di quanto dimenticata sia la storia della minoranza più povera e bistrattata degli Stati Uniti.

La contea, nata 110 anni fa, nel febbraio del 1911, era uno dei crocevia del mercato delle pellicce nella seconda metà dell’800 e all’inizio del secolo divenne un primo capo interno per gli indiani Ute sfollati dai vicini Utah e Wyoming. Nella prima metà del '900 la zona visse un relativo periodo di prosperità grazie all’industria del bestiame che però declinò rapidamente quando le linee ferroviarie più a sud modificarono le rotte commerciali.

Le riserve

Oggi Ziebach resta terra di indiani, ma ben lontana dalla storia del grande popolo. Le stesse riserve che la attraversano hanno una storia dolorosa alle spalle. Cheyenne River e Standing Rock rappresetano gli ultimi residui della Grande riserva dei Sioux stabilita 1868 che occupava circa metà dell’attuale Sud Dakota. Poco meno di 20 anni dopo il Congresso decise di rescindere l’accordo con i Lakota come conseguenza del colpo di coda delle guerre indiane, un periodo di scontri che vide contrapporsi ciò che rimaneva del grande popolo dei Sioux contro l’esercito americano per il controllo delle Black Hills, le colline nere sacre dei nativi. Al termine di quell’esperienza la Grande riserva venne ridotta e smembrata e lì inizio il lento declino degli indiani.

Secondo gli ultimi numeri disponibili, nella riserva di Cheyenne River, che si divide in altre quattro contee, vivono poco poco meno 8 mila nativi. Oggi ospita quattro dei sette raggruppamenti dei Lakota, una delle tribù più importanti dei Sioux. Questi sono poi divisi in una dozzina di singole comunità, molte delle quali completamente abbandonate, senza sistemi idrici e in condizioni igieniche precarie.

Lo scenario interno alla riserva resta desolante, con numeri impietosi. I posti di lavoro dentro il recinto della riserva sono inesistenti e gran parte dei membri della tribù vive in condizioni di profonda indigenza. Due terzi degli abitanti ha meno di un terzo del reddito medio americano. Per le vie della comunità si respira un profondo senso di rassegnazione. Non va meglio alla vicina riserva di Standing Rock, un appezzamento di prateria grande due volte lo stato del Delaware che ospita altri 8 mila nativi.

Un problema senza soluzione

Secondo gli ultimi dati disponibili circa 5,2 milioni di persone, l’1,7% della popolazione totale americana, si identifica come nativo americano. Di questi circa il 70% vive ancora nelle riserve che oggi sono circa 320. In attesa dei dati consolidati dell’ultimo censimento, andato avanti a rilento tra il 2020 e 2021 a causa della pandemia, possiamo guardare a quello del 2010 per avere qualche dettaglio in più. Il gruppo più rappresentativo è quello dei Cherokee che conta circa 800 mila cittadini. I Sioux, che risiedono prevalentemente nelle riserve delle grandi pianure come quelle di Nord e Sud Dakota sono oggi poco meno di 170 mila.

Le fredde statistiche restituiscono solo in parte lo stato di desolazione in cui vivono molti di loro. Nel 2012 una ricerca del Pew Research Center ha cercato di tracciare la situazione di molti giovani della riserva di Standing Rock. Il 19% di loro non ha mai finito le scuole superiori, contro il 14% della media nazionale, mentre i laureati non superano il 15% contro il 29% nazionale. In compenso nelle riserve le situazioni di disagio sociale esplodono. Secondo l’American addittion centers nel corso di un anno il 54% dei nativi dichiara di aver fatto uso di alcolici, mentre il 22,4% di loro ha affermato di aver bevuto in modo eccessivo almeno una volta nel corso di un mese. In generale il tasso di nativi con disturbi legati al consumo di alcol è del 7,1% contro il 5,4% nazionale. Tra i giovani non va meglio. Tre giovani su 10 tra i 18 e 25 anni ha detto di consumare più di 5 unità di alcol al giorno, mentre 1 su 11 un pesante consumo mensile. Persino tra i giovanissimi gli indicatori sono fuori controllo: un adolescente su sei che ha dichiarato di fare uso costante di alcolici, il numero più alto di qualsiasi gruppo razziale.

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Il sito in cui è sepolto Toro Seduto nella riserva di Standing Rock

Il resto lo fanno condizioni di vita precarie. Secondo uno studio del dipartimento di Urbanistica pubblicato nel 2017, il 16% delle famiglie di nativi vive in case sovraffollate contro il 2% della media nazionale. Non solo. Lo stesso dossier ha rilevato che il 10% delle famiglie che risiedevano nelle riserve aveva pesanti carenze idriche rendendo addirittura complesso lavarsi le mani.

Persino la pandemia non ha risparmiato le riserve. Secondo uno studio dell’APM Research Lab pubblicato all’inizio dell’anno i nativi hanno avuto tassi di mortalità doppio rispetto ai bianchi. A livello nazionale un nativo su 475 è morto a causa del coronavirus, contro uno su 825 tra i bianchi e uno su 645 tra gli afroamericani. Come abbiamo visto persino sul fronte del lavoro niente si muove, con tassi di disoccupazione alle stelle. Ma come si è arrivati a questo punto, come è stato possibile diventare l’ultima minoranza del Paese più ricco del mondo?

Il declino

“Prima dell’arrivo degli europei i nativi erano tra le persone più sane del mondo”. Camille Stein non ha dubbi: tutto è iniziato con l’arrivo dell’uomo bianco. Esponente della riserva di Fort Belknap, in Nord Dakota ha raccontato al quotidiano locale Great falls tribune le sedazioni della sua comunità che possono essere facilmente replicate nelle altre ridere della nazione indiana.

“Avevamo pratiche agricole e medicinali sofisticate, Ma quando la nostra capacità di caccia è stata limitata questo ha avuto ricadute anche sulla nostra salute. Ora viviamo in luoghi rurali, dove abbiamo pochissimo accesso a cibo e negozi”. Ad esempio già nel 2014 il dipartimento dell’Agricoltura del governo federale aveva certificato che sei delle sette riserve indiane presenti nello stato del Montana erano a tutti gli effetti dei “deserti alimentari” ciòè luoghi dov’era impossibile procurarsi del cibo a meno di viaggiare per decine di miglia verso i centri urbani. Destino analogo a quello dei residenti nelle riserve di Cheyenne River e Standing Rock dove sono necessarie ore di strada per trovare il primo negozio.

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Uno dei residenti della riserva di Standing Rock

La scollatura tra una vita prospera e la misera è arrivata verso la fine dell’800 quando Washington strinse il cappio sulle riserve. Il governo federale non tenne infatti conto di come le varie tabù dei Sioux avessero una vita nomade dedica alla cultura del cavallo e del bufalo e non fossero adatte a passare a una vita fatta di allevamenti e coltivazioni. A cavallo del secolo, all’insegna dell’assimilazione, le famiglie furono costrette a mandare i figlie nei collegi a imparare l’inglese e pratiche culturali americane, di fatto scardinando parte dei legami sociali che tenevano tenuto insieme le tribu per secoli.

Parallelamente il piano agricolo non tenne conto delle difficoltà che i nativi avrebbero incontrato in luoghi semi-aridi come le praterie del Sud Dakota. Di fatto rendendo le comunità sempre più povere. Il ‘900 non ha fatto altro che rendere la situazione ancora più difficile. Le due riserve della contea di Ziebach hanno poi subito nuovi ridimensionamenti negli anni ’60 per la costruzione di due dighe lungo il fiume Missouri. In più l'espasione dei programmi federali di aiuto non ha mai creato un vero sviluppo locale ma solo alimentato la spirale assistenzialista.

La ribalta

Per Ziebach la partita più dura si è aperta nel 2016 con l’avvio della costruzione dell’oleodotto Dakota Access. Nei piani la struttura avrebbe dovuto attraversare le riserve indiane lungo la direttrice Nord Dakota-Illinois. Dall’annuncio è iniziato un vero e propio braccio di ferro tra le comunità di nativi e il governo federale. Occupazioni e manifestazioni si sono susseguite nel corso dei mesi, con continui stop and go. Una battaglia poi arrivata nei tribunali. Nel 2020 un giudice ha imposto una completa revisione dell’impatto ambientale dell’opera, di fatto bloccando i lavori e mettendo a segno un punto per i nativi.

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Ma un anno dopo, nel maggio scorso, un altro giudice federale ha ribaltato la decisione stabilendo che in attesa della nuova valutazione l’oleodotto poteva continuare a operare.

Lo stesso giudice, pur ribadendo che la bontà delle richieste dei nativi, ha sottolineato che spetta al governo federale il definitivo stop alla struttura che ha iniziato a trasportare petrolio già nel 2017. Per i discendenti della nazione Sioux si tratta dell’ennesima sfida contro Washington e contro una storia che sembra non voler cambiare il suo corso.

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