Hofer non sarà il nuovo presidente dell'Austria, quindi la sua politica restrittiva alle frontiere non è più una realtà imminente. «Ma il problema rimane aperto, oltretutto la vittoria dei verdi è di stretta misura» dice Eugenio Di Rienzo, storico della Sapienza di Roma e direttore di Nuova rivista storica.
Che cosa dimostra il voto austriaco?
«Che l'immigrazione resta un problema grave per l'Unione, e ne mostra l'estrema fragilità e disunione. Non c'è stata coesione, anzi: sono rispuntati gli egoismi e gli interessi nazionali, anche se egoismi è una parola che non mi piace».
L'Italia ne è investita in pieno.
«C'è una parte di Europa molto più esposta al problema. Ma l'Unione non è in grado di affrontarlo. Oggettivamente, è dura dire a uno stato come la Macedonia di reggere il flusso».
Ma la reazione dell'Austria è comprensibile?
«Può apparire esagerata, perché finora ha recepito un numero di profughi basso, ma è comprensibile a fronte della mancanza di una politica comune».
Non tutti reagiscono così però.
«No, però non so se, in cuor suo, un'Austria che chiude le frontiere non faccia anche comodo alla Germania, che comunque ha fatto dei passi indietro sull'accoglienza. Anche i Paesi scandinavi, considerati modelli di civiltà, negli ultimi mesi hanno respinto i profughi. La Gran Bretagna poi è assolutamente contraria ad accogliere».
Sbagliano?
«Non voglio dire che una o l'altra politica siano sbagliate. Però l'Europa non decide e questo crea una insicurezza generalizzata, che a sua volta è il terreno per il risorgere di movimenti identitari, in alcuni casi anche populisti o xenofobi».
La colpa quindi è dell'Europa?
«Del suo non governo. Ricordiamoci che Italia e Grecia sono state lasciate sole».
Se un Paese vuole chiudere le frontiere che significa?
«È un segnale di fallimento per l'Unione: ogni Stato pensa di essere costretto a dover fare da sé, perché nessuno lo tutela. E il simbolo dello Stato è, appunto, la frontiera».
L'Austria rinuncerà al blocco al Brennero?
«È possibile, ma il governo dovrà avere a che fare con quel 49,7 per cento della popolazione che era a favore di una politica di chiusura delle frontiere e di rigore verso l'immigrazione. Diciamo che la questione è tamponata. Poi vedremo».
Chiudere le frontiere può risolvere il problema?
«No. È solo spostare il peso dell'immigrazione su un altro Paese. Una politica miope, perché nessuno è al sicuro. La Ue non deciderà mai di abolire Schengen però, se vari Paesi decideranno in questo senso, allora potremo anche chiudere gli uffici di Bruxelles, che fra l'altro sono costosi...»
Ragionevolmente che cosa succederà?
«Sono scettico, ma spero che l'Europa darà una risposta su quello che vuole fare in politica estera, per esempio in Libia o sul confine orientale, e sul problema dell'immigrazione».
È ottimista?
«No, non posso. Facendo lo storico, ne ho viste troppe. E questo sembra il fallimento di un grande progetto politico come l'Unione. Però c'è ancora un po' di tempo, poco, per trovare una soluzione, che sarà lenta. E costosissima».
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