Monty Alexander al Blue Note sei concerti in 10 sere

È consuetudine dei jazz club, quanto meno dei migliori, di ospitare lo stesso solista o gruppo per più giorni consecutivi. In questo modo si contengono i costi, ed è possibile proporre musicisti di alto livello in un clima particolare, di contiguità e quasi di collaborazione fra chi suona e chi ascolta. Tuttavia sono assai pochi gli artisti in grado di “tenere” con successo sei serate esibendosi in dieci concerti, come il pianista giamaicano Monty Alexander al Blue Note in trio con Lorin Cohen contrabbasso e George Fludas batteria. Alexander ha 63 anni ed è al centro della ribalta da 40. Ottiene vasti consensi, al punto da essere guardato dai puristi con qualche sospetto. Il suo polo di riferimento è Oscar Peterson, e sostiene di poterselo permettere perché, dice, “so di avere una perizia formale non comune”. Si tratta però di un confronto pericoloso, che Alexander ha accentuato cercando non di rado la collaborazione di musicisti petersoniani come il chitarrista Herb Ellis, il contrabbassista Ray Brown e il batterista Ed Thigpen. Ma Peterson è un caso unico, nel quale la tecnica, il tocco, il fraseggio perfetto e le note che conservano fisionomia e nitore anche con ritmi vertiginosi, sono elementi che in lui, eccezionalmente, diventano arte. Alexander suona bene, nulla da eccepire, e ha uno stile pregevole sebbene un po' scontato.

Si serve di qualche tema del repertorio che fu frequentato da Nat King Cole e da Frank Sinatra, di brani collaudati come Look Up, Moonlight City, River e si ricorda delle sue origini con Caribbean Circle. Nella sua "sei giorni" milanesi li ripete più volte, e piace e riscuote applausi. Ma i puristi non hanno tutti i torti.

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