Non è solo geloso e paranoico, manesco e alcolizzato. Come hanno dimostrato gli investigatori del commissariato Greco Turro e i periti del tribunale di Milano negli ultimi sette mesi, Daniele De Masi sarebbe anche un assassino. Un tipo improvvisato e contorto, un po’ come tutto il modo di agire e di affrontare la vita di questo 41enne milanese con qualche precedente penale alle spalle. Tant’è che il suo tentativo maldestro, e solo apparentemente credibile, di far passare l’omicidio della sua ultima fidanzata per un drammatico incidente domestico si è rivelato un fallimento su tutti i fronti ed è durato il tempo di un’inchiesta approfondita e puntigliosa.
Così qualche giorno fa l’uomo è stato arrestato per omicidio volontario di Moira Del Tredici, la coetanea morta schiacciata lo scorso 13 giugno durante una lite nel suo appartamento di via Val Maira 6 (zona Niguarda) all’interno del divano-letto a molla, con il collo schiacciato contro la spalliera, soffocata dal peso delle sue stesse gambe compresse contro la cassa toracica. Un letto che, secondo De Masi, si sarebbe rivelato accidentalmente una trappola mortale per la sua donna e che, invece, lo sarebbe diventato solo «grazie» al suo personalissimo intervento: la gelosia morbosa, che già qualche anno fa gli aveva procurato una denuncia e una condanna a 6 mesi per aver tentato di strangolare una sua ex, stavolta l’ha trasformato in un criminale.
Quel sabato di giugno De Masi, mentre a parole si professava «innamoratissimo» della poveretta e disperato per averla persa per sempre, forse non si rese conto che stava imbastendo una storiella improbabile a sostegno di un alibi ancora più assurdo. Raccontò quindi che aveva lasciato la compagna assopita sul divano-letto prima di recarsi a un colloquio di lavoro. Salvo ammettere di essere stato sempre lui, e in stato di forte agitazione, qualche minuto più tardi, a chiamare il 118 per dare l’allarme spiegando che c’era «una persona in difficoltà», sbagliando numero civico e piano. Subito dopo De Masi aveva avvertito anche un amico suo e della sua compagna, un tassista che il 41enne - come hanno scoperto in seguito gli investigatori del commissariato di Greco Turro - era convinto essere l’amante di Moira. Un paio d’ore dopo l’intervento dei soccorritori e una volta conclusi gli accertamenti del medico legale sul cadavere, De Masi aveva lasciato l’appartamento per il famigerato «colloquio di lavoro».
«Non gli abbiamo mai creduto - spiega il dirigente del commissariato, Manfredi Fava -. Tuttavia, se il quadro indiziario era molto chiaro, mancavano le prove scientifiche. Un divano letto identico a quello della vittima ce l’ho pure io e non si può chiudere da solo, tantomeno con una persona stesa sopra».
De Masi, interrogato più volte dopo la morte della sua donna, fornisce versioni dei fatti sempre differenti delle quali emergono fin troppo chiaramente le lacune. A fornire ulteriore concretezza agli indizi accadono altri fatti. In luglio il 41enne rompe i sigilli dell’appartamento della compagna cercando di portare via il divano-letto e telefona più volte al 113 sostenendo che si vuole uccidere perché si sente in colpa del fatto che la sua fidanzata sia morta.
«De Masi ha ripiegato con forza il divano-letto schiacciando volontariamente, fino a farla soffocare, la fidanzata - conclude Fava -. Lei si era assopita dopo aver passato la mattinata a sbronzarsi e a fumare hashish con lui».
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