Mr Geox: «Basta gufare Bisogna essere ottimisti»

Per il re della calzatura «il futuro è nel Dna delle nostre industrie: idee e creatività»

Pierluigi Bonora

da Milano

«Gli imprenditori italiani sono più ben visti all’estero che non tra le mura del proprio Paese. Le cose negative che sono state dette per un certo periodo, cioè che le imprese vanno male e che i dati non facevano prevedere nulla di buono, hanno oscurato l’ottimismo che un imprenditore deve sempre avere. L’industriale non deve lasciarsi suggestionare da nessuno, ma ha solo da percorrere la sua strada».
Mario Moretti Polegato, presidente della Geox (ricavi in crescita del 34% e più 16,5% di utile netto nel 2005), è fiducioso sul futuro del «made in Italy» e i dati record su fatturato e ordinativi diffusi ieri dall’Istat, non fanno altro che rafforzare la sua convinzione che il successo dell’impresa italiana dipende dalla capacità di un governo «di porre al centro di tutto l’imprenditore, l’anima vera del “Sistema Italia”».
Presidente, i dati dell’Istat testimoniano che il mondo produttivo italiano è tutt’altro che alle corde...
«Personalmente sono sempre stato ottimista sull’industria del nostro Paese. Faccio un esempio: i tedeschi hanno sempre investito molto sul perfezionamento dei processi industriali, mentre in Italia si destinano più risorse nel campo delle idee e della creatività. È questo il nostro vero Dna e sono sicuro che, in futuro, l’impresa italiana saprà trarre vantaggio da questo aspetto».
Anche all’estero la pensano come lei?
«Parlando con alcuni analisti americani mi sono sentito rispondere che scommetterebbero di più sull’impresa italiana rispetto a quella degli altri Paesi europei proprio per questo motivo».
Quindi?
«Se tutti, a partire dagli industriali, da chi ha la responsabilità di governare e dai sindacati, si lavorasse insieme per dare all’imprenditore un forte segnale di ottimismo, allora si avrebbero tanti casi di sviluppo, sulla scia di quello che è accaduto proprio a Geox».
Certo è che proprio dai vertici di Confindustria il pessimismo non è mancato...
«Non voglio entrare in polemiche. Dico solo che, a livello generale, si è assistito a una grande confusione sul “Sistema Paese Italia”. Ci si è trovati impreparati davanti al processo della globalizzazione, per non parlare dell’effetto Cina. Tutto questo ha radicalmente cambiato le abitudini delle persone. È stato un vero choc».
A scontare gli effetti della globalizzazione sono, però, anche gli altri Paesi...
«Certo. Non è vero che l’Italia sta male e gli altri Paesi no. I problemi li hanno un po’ tutti. L’industria spagnola della scarpa, per esempio, è in grave crisi e molte aziende hanno chiuso i battenti. A questo punto è necessario tornare a confrontarsi con il mercato perché è il mercato a dire cosa bisogna fare. L’imprenditore non può pretendere che la classe politica gli tolga le castagne dal fuoco: è lui il vero fautore della propria azienda».


Come vede il futuro dell’impresa italiana?
«Impegnativo. Dal capitalismo industriale bisogna passare a un capitalismo di tipo culturale, investendo di più sulle persone, sulle tecnologie e nel marketing del proprio prodotto».

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