New York - Il fotografo statunitense Irving Penn, famoso per le eleganti immagini di moda e per i ritratti in bianco e nero e soprattutto per le nature morte apparse su Vogue, è morto ieri nella sua casa di New York all’età di 92 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato congiuntamente dall’amico Peter MacGill, che era anche il suo agente, e dal fratello, il regista Arthru Penn. Il fotografo fu sposato per 42 anni con la modella Lisa Fonssagrives, che fu suo soggetto di scatti di sofisticata bellezza fino alla morte avvenuta a 80 anni nel 1992.
L'occhio di Vogue Il gigante della fotografia americana, come è stato definito, si affermò a 26 anni come assistente di Alexander Liberman per Vogue, rivista per la quale realizzò numerose copertine, fra cui la prima in still life (natura morta) a colori per il numero dell’ottobre 1943. Dopo la seconda guerra mondiale, Penn lavorò ininterrottamente per la rivista realizzando ritratti, foto di moda e nature morte con cui ha definito un nuovo visual style e lanciato l’estetica less is more, cioè più si sottrae da un’immagine più essa può risaltare efficace e suggestiva. Penn ha scattato anche alcune delle foto-icone degli anni Sessanta, come quelle dedicate alla Beat Generation e alla Summer Love del 1967. Sempre a quell’anno risale la celebre foto in cui sono in posa i motociclisti della gang Hell’s Angels, realizzata in uno studio di San Francisco nel 1967.
La moda nel dopoguerra Insieme a Richard Avedon, Penn è stato l’altro grande fotografo di moda del secondo dopoguerra (famose i suoi scatti per Marisa Berenson), a cui si ispirò anche il regista Michelangelo Antonioni per il protagonista principale del film Blow up. Tra i suoi tanti ritratti di vip, spiccano quelli di Edmund Wilson, W. H. Auden, Spencer Tracy, Joe Louis e Duchessa di Windsor. Penn contribuì anche a far fare il loro ingresso sulle pagine di Vogue a intellettuali e artisti come Willem de Kooning, Isamu Noguchi, Pablo Picasso e Italo Calvino. Le prime immagini Irving Penn e quelle successive dedicate al mondo della moda furono realizzate senza l’uso di elaborati espedienti tecnici, ma solo con l’ausilio di un fondale di carta e con la più semplice illuminazione possibile: fu proprio per questo che risultarono dei capolavori, riuscendo a legare in modo indistinguibile lo spirito della modella con l’abito che indossa. Negli ultimi trent’anni Penn si è concentrato su ritratti a carattere etnografico, su nudi e studi sul colore, in particolare quello dei fiori. Penn può vantare la più lunga collaborazione con le testate della casa editrice Condè-Nast, che pubblica tra le altre riviste Vogue. A partire dal 1985 lavorò anche per Vanity Fair.
Vivere dietro l'obiettivo Nato a Plainfield, nel New Jersey, il 16 luglio 1917, Irving Penn studiò alla School of Industrial Art di Philadelphia. Grazie alla conoscenza con Alexey Brodovitch, uno dei suoi docenti, iniziò a collaborare con la rivista Harper’s Bazaar dal 1938, anno in cui si era trasferito a New York. A 25 anni partì per il Messico dove iniziò a dipingere, ma dopo un anno si convinse che non sarebbe mai diventato un grande pittore. Nel 1943, dopo aver conosciuto Alexander Liberman, cominciò a lavorare come fotografo di moda per Vogue, firmando la prima natura morta comparsa sulla copertina della storica rivista. Proprio all’interno di Vogue Irving Penn avviò la sua lunga carriera: a partire dal 1947 realizzò un’ampia serie di ritratti di intellettuali, artisti, scrittori, secondo uno stile classico che rompeva con l’impostazione sperimentale delle avanguardie e presentava la figura in forte contrasto con lo sfondo. Anche i nudi di questo periodo erano figure bianche, livide, ben stagliate. La nettezza dei toni che Penn utilizzava nel bianco e nero si ritrova nel colore, ben definito in campiture precise e spazi luminosi. Una uguale scelta di classicità ha caratterizzato le sue ricerche sui mestieri e quelle di taglio etnografico sugli indigeni del Perù, della Nuova Guinea e del Marocco.
I mondi in una piccola stanza Nel 1948 Penn si recò in Perù, dove realizzò alcuni servizi per la rivista Vogue, mentre nel corso degli anni Cinquanta realizzò diverse campagne fotografiche legate al mondo della moda, che gli conferirono la prima fama internazionale. Nel 1967 creò un piccolo studio fotografico da viaggio, con il quale fu in grado di fotografare sullo stesso scenario in ogni parte del mondo e in ogni condizione: nacque così la famosa serie dei Words in a small rooms, nella quale si alternano ritratti di personaggi celebri e le fotografie di gruppo, dove l’etnografia si mescola alla moda, come testimonia la mitica foto degli Hell’s Angels. Mentre proseguiva la sua attività di fotografo di moda, nel 1977 il Metropolitan Museum di New York presentò il ciclo Street Material, nel quale Penn fotografò i resti abbandonati dell’esistenza quotidiana (rifiuti urbani, ossa e mozziconi di sigaretta), conferendo loro un nuovo valore estetico. Nel 1980 vennero esposti per la prima volta i nudi realizzati negli anni Cinquanta, mentre nel 1986 vide la luce una nuova serie di nature morte, questa volta dedicate ai crani animali. Ormai Penn era uno dei fotografi più rinomati del mondo, e si susseguivano le mostre e le pubblicazione a lui dedicate. Nel 1984 il Museum of Modern Art di New York allestì una retrospettiva della sua opera lunga oltre 60 anni. Nel 1997 un’analoga mostra ha aperto i battenti presso l’Art Institute di Chicago, per poi spostarsi al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo.
Le prime personali Nel 1990 la National Portrait Gallery di Washington realizzò una mostra sui suoi ritratti e nel 1995 il Moderna Museet di Stoccolma ospitò una selezione della sua sterminata produzione in occasione di una grande donazione del fotografo al museo svedese. È autore di vari libri, fra cui Moments Preserved (1980), Worlds in a Small Room (1974), Flowers (1980), Passage (1991), Irving Penn Regards the Work of Issey Miyake (1999) e Still Life (2004). Tra le curiosità biografiche di Irving Penn, c’è da ricordare che prestò servizio come militare durante la seconda guerra mondiale in Europa, facendo come soldato l’autista di ambulanze in Italia. Arrivato a Roma nel 1944, conobbe casualmente l’arista Giorgio de Chirico mentre stava acquistando frutta ad un mercato rionale. Irving Penn è considerato uno dei massimi rappresentanti del XX secolo di un genere di lunga e illustre tradizione come la natura morta. Il fotografo è sempre stato attento per prima cosa a stabilire una precisa distanza dal soggetto fotografato. Fisica e psicologica, che si tratti di fotografare attori, poeti, modelle, frutta o mozziconi di sigaretta.
I soggetti degli scatti I suoi soggetti sono sempre sistemati dentro spazi chiusi, stretti, a volte angoli di pareti costruite per l’occasione. Mai in esterni. Ne risulta un senso di calma concentrazione, e di claustrofobia. Il personaggio è come fisicamente limitato, ma i limiti spaziali per contrasto rendono palpabile la sua energia. I soggetti raffigurati nelle nature morte vanno dagli oggetti della pubblicità (come la serie "minimalista" dedicata ai prodotti cosmetici realizzata per Clinique tra gli anni Sessanta e Settanta), ai cibi (reinventati per i servizi redazionali di Vogue), agli animali morti ai quali il consumo impone nuove forme, ai materiali trovati per la strada (noti i suoi mozziconi di sigarette degli anni Settanta).
A nature morte "miserabiliste" che utilizzano scarti di materiali in decomposizione, avanzi, metalli, fino alle nature morte di costruzione più complessa che si rifanno al classico tema della vanitas, con ossa e teschi di uomini e animali, insieme a frutti, fiori ed altri elementi compositivi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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