Il pop diventerà una gara al ribasso. Ma l'uomo vincerà

Senza l'amplificatore a valvole non ci sarebbero stati Woodstock o Made in Japan dei Deep Purple, per intenderci, né l'assolo di chitarra di Stairway to heaven dei Led Zeppelin o le divagazioni geniali del David Bowie from Mars

Il pop diventerà una gara al ribasso. Ma l'uomo vincerà
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Come quasi sempre accade, la musica leggera popolare è il primo test di massa per le innovazioni tecnologiche. Stavolta tocca alla IA, l'intelligenza artificiale che ha invaso le produzioni musicali. Talvolta lo ha fatto in modo evidente, ad esempio in Italia l'anno scorso c'è stato il disco natalizio di Gerry Scotti prodotto con l'uso massiccio e manifesto di intelligenza artificiale. Ma molto più spesso, e molto più subdolamente, produttori e presunti musicisti ne fanno uso. È senza dubbio una rivoluzione. E, come tutte le rivoluzioni, crea paura o quantomeno sgomento. Accadde a inizio del Settecento con il pianoforte che rivoluzionò composizione ed esecuzione. Poi negli anni Cinquanta del Novecento, quando l'amplificatore a valvole aiutò a creare le regole del rock. Senza l'amplificatore a valvole non ci sarebbero stati Woodstock o Made in Japan dei Deep Purple, per intenderci, né l'assolo di chitarra di Stairway to heaven dei Led Zeppelin o le divagazioni geniali del David Bowie from Mars. Idem il «sequencer» degli anni Ottanta, che è andato nella direzione opposta ma ha consentito la nascita di una, due, tre generazioni di musicisti tuttora popolarissimi.

Adesso tocca alla IA, che però ha una caratteristica decisamente diversa e musicalmente avvilente. Non si mette al servizio della creatività umana, ma prova a sostituirsi. È una corsa al ribasso. Prendete per esempio Suno, una piattaforma in grado di creare canzoni di ogni genere, stile, modalità e durata semplicemente sulla base di due righe di testo. È il juke box della banalità. In una fase nella quale, per essere visibile sul mercato, la creatività individuale è obbligata a omologarsi (tutte le canzoni in classifica suonano uguali), cosa c'è di meglio che affidarsi a una app? Pensateci. Negli anni '60 per incidere, tanto per dire, la canzone Se telefonando c'era bisogno di un'orchestra, di un interprete, di svariati autori, arrangiatori eccetera eccetera. Oggi tecnicamente bastano un «music producer» e magari un beat maker, tutti nutriti dagli algoritmi che nel frattempo stanno letteralmente imparando dal passato per provare a creare qualcosa di nuovo per il futuro. «Ma che gioia c'è nel far creare una musica da una macchina? Far musica penso sia uno dei miracoli della vita. Ti cade dal cielo, ti viene donata, non ha spiegazioni! E non è possibile schematizzarla», dice Taketo Gohara talentuoso produttore e tecnico del suono, tra gli altri, di Negramaro, Capossela, Van De Sfroos ed Elisa. Le sue non sono ipotesi estreme. Anche se nessuno (o pochi) lo ammette, la tentazione è forte per tutti, anche per i grandi autori, produttori, discografici, interpreti. Perciò, come giustamente ha osservato Andrea Bocelli, «non c'è da aver paura dell'invenzione in sé, ma dell'uomo che la utilizza».

Al momento l'utilizzo è una giungla e magari un giorno si arriverà alle etichette come sugli yogurt: «Contiene il 20% di musica suonata e l'80% di algoritmi». Ma a far la differenza sarà sempre il singolo, il talento, insomma l'uomo. Almeno finché ad ascoltare musica ci saranno uomini.

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