Marracash, pubblica un disco all'improvviso.
«Eh, l'ho finito appena una settimana fa».
Si intitola È finita la pace.
«Chiude la trilogia iniziata nel 2019 ed è anche il disco più personale che potessi fare: non ci sono feat, autori, interferenze esterne».
Una sorta di rinascita.
«Dopo il Marrageddon Festival del 2023 ho avuto una sorta di burnout. Non è stata depressione. Ma quando finisce un periodo molto intenso poi resta un silenzio assordante. Per me quello è stato un momento per disintossicarmi dai sonniferi che prendevo sempre e da tutta l'ipocrisia che c'è».
Già al primo ascolto, i cinquanta minuti di È finita la pace sono una boccata d'ossigeno nell'asfissia musicale che gira intorno. Marracash, che si chiama Fabio Bartolo Rizzo, classe 1979, dice chiaramente che «questo disco è una bolla» e in effetti non ha torto. Non cede alla trap, non ha arrangiamenti piacioni, snocciola testi che non indugiano troppo alla volgarità e che qui e là fanno scintillare riflessioni che, piacciano o no, sono personali e perciò rarissime in un panorama tristemente omologato. Non a caso lui che, con Fabri Fibra, è uno dei maestri più autorevoli del rap italiano, sarà il primo rapper a fare un tour negli stadi e ieri ha raddoppiato la data a San Siro (25 e 26 giugno). È la conferma che c'è vita oltre la trap più becera, oltre le rime sessiste e l'elogio del luccichio orafo.
Ci sono brani come Mi sono innamorato di un AI e, soprattutto, Vittima, che mostrano una potenza cantautorale sempre più rara. In sostanza, È finita la pace è un disco che brilla di luce propria e per questo non ha avuto bisogno di una imponente campagna di lancio o di
chissà quali altri stratagemmi promozionali. Funzionano le canzoni, e tanto basti (per fortuna).
È il terzo atto di una trilogia. Ma perché È finita la pace?
«È finita la pace per me, ma anche per gli altri perché il disco è una sorta di manifesto, una specie di guanto di sfida. Infine è finita anche per il mondo perché in questo momento viviamo in una polveriera. Anche per questo è il mio disco più personale».
Ci sono campionamenti di grandi brani della storia musicale italiana.
«L'abitudine di campionare brani è abbastanza tipica dell'ambiente rap. Ma credo che non abbia completamente senso per gli italiani campionare musica straniera».
Nel brano È finita la pace c'è un campione di Firenze (canzone triste) di Ivan Graziani. In Soli c'è Uomini soli dei Pooh.
«Ma ho utilizzato anche un campionamento da Madame Butterfly di Puccini. Sono brani che hanno fatto parte della mia vita, che mia mamma mi sparava in continuazione quand'ero ragazzino. E poi mi piace l'idea di un brano che ti aiuta a spiegare meglio qualcosa che vuoi spiegare».
Marracash, lei è un rapper un po' sui generis.
«Perché sono poco social?».
Anche.
«I social sono il contrario della libertà. Il mondo di adesso è costruito per non consentirti di essere te stesso. O, almeno è difficile esserlo attraverso i social, che ti costringono a una sorta di pensiero unico».
Tra i rapper, specialmente quelli più giovani, c'è una gara a chi ha la rabbia più «legittima».
«Non condivido discorsi del tipo la mia rabbia è più legittima della tua. A un certo punto bisogna prendersi delle fottute responsabilità. Invece sui social vedo molta piangina e basta».
C'è un brano che si intitola Troi*, con l'asterisco.
«Non è una offesa a nessuno perché in realtà parlo di me, di un rapper. Ho pensato che spesso i rapper definiscono le donne come tro.., ma poi le tro.. sono proprio loro. È un brano che serve a scardinare questo luogo comune».
Ne Gli sbandati hanno perso ci sono i versi: «Chi crede nei governi, chi invoca i manganelli, chi crede nelle merci e il denaro, chi ha troppa melanina, chi è troppo meloniano...».
«Diciamo che non ho grande fiducia nella politica. In questo caso, cito il governo che abbiamo proprio perché è quello in carica. Ci fosse un altro governo, avrei citato quello. Ma il mio pensiero sarebbe stato uguale».
Riassunto.
«Siamo in un momento nel quale si discute tra concetti come il woke o altri che mi sembrano essenzialmente strumenti di propaganda».
Chi vince?
«Spesso vince il vittimismo sbandierato dal personaggio di turno sui social.
In realtà né eliminare certe parole né censurare serve a cancellare quello che è il mondo davvero e che viviamo ogni giorno. E a tutti, soprattutto alle nuove generazioni, serve farsi una scorza per proteggersi, non far finta di niente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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