Il musicista protetto dai signori capitò per caso a Piazzale Loreto

Nel soggiorno milanese tra il ’44 e il ’45, cambiava spesso abitazione perché le famiglie che lo ospitavano non sopportavano i suoi modi arroganti

da Milano

In quelle settimane di fine ’44, Karajan ha una terribile paura di essere scoperto e arrestato. I Crespi, e poi le altre famiglie che lo ospiteranno, prendono le loro precauzioni: i nascondigli vengono cambiati assai spesso, gli spostamenti avvengono solo di notte, sempre con il fidato autista di Giuseppina. Ad accelerare i tempi ci pensa lui, con il suo carattere impossibile: «Dopo qualche settimana di permanenza nella villa dei Crespi, in Brianza, Aldo cominciò a non poterne più - racconta Klaus Riehle che ha appena finito di scrivere un libro sul Karajan segreto, di prossima pubblicazione in Germania -. Aldo era geloso, perché la moglie Giuseppina era incantata dal direttore austriaco; poi non sopportava più le continue proteste di Karajan nella vita quotidiana. Karajan fu trasferito a casa dei Mozzoni, in provincia di Varese e da qui a Milano a casa di Luigi Pozzi che già lo aveva conosciuto a Saint Moritz».
Anche con lui il copione si ripete: presto il padrone di casa arriva al limite della resistenza. Karajan è esigentissimo, segue una dieta ferrea, si lamenta di questo e quello, è incapace di pronunciare la parola grazie. Un rapporto difficilissimo, senza contare il rischio di un blitz delle divise tedesche. Herbert e la moglie Anita se ne vanno: «Anita trovò un rifugio in un alberghetto a ore in piazza della Repubblica. Il padrone affittava alle prostitute, lei prese una camera per sé e per il marito». I Karajan si trasferiscono là, ma Anita ha mille risorse e contatti. Si ricorda di Aga Hruska che ha incontrato al Maggio Fiorentino nel ’42 e che, guardacaso, abita vicinissimo, in via Marcora 12 in un’abitazione che il Comune ha requisito a una famiglia ebraica. La donna non si perde in giri di parole: «Senti, Aga, non avresti un letto anche per me? Mi potrei risparmiare la spesa dell’albergo». Qualche giorno dopo, Hruska torna a casa e in sala da pranzo trova Anita insieme a Herbert. «Ciao, Herbert». «Ciao, Aga - risponde Anita - come vedi ho portato qui anche Herbert».
La coppia per un po’ si divide fra l’appartamento di Hruska e l’alberghetto a ore. Hruska suggerisce loro di disdire quella squallida camera, ma la donna non ne vuole sapere: «Sai, Aga, Herbert ha addosso una paura tremenda e perciò a Milano vuole avere più di un nascondiglio». Naturalmente, anche Hruska sperimenta tutte le asperità del carattere di Karajan e lo descrive, col piglio del medico, nella sua autobiografia, scritta insieme a Riehle e pubblicata nel 2002 (Memorie segrete del dentista dei papi e dei re, Bietti): «Herbert era un nevrotico per antonomasia. Viveva in un continuo stato di ansia, aveva sempre mal di stomaco e non faceva che pregarmi di prescrivergli qualcosa che potesse curare la sua cattiva digestione. Benché io non avessi alcuna intenzione di fargli da psichiatra e lui, da parte sua, fosse poco incline a parlare dei suoi problemi, ogni tanto però quello che lo angosciava profondamente veniva a galla: temeva di essere rapito per soddisfare interessi russi o americani. Temeva inoltre anche le possibili conseguenze derivanti sia dal fatto di essersi iscritto al partito nazionalsocialista, sia dal fatto che, tramite Anita, amica intima di Joseph Goebbels, conosceva molto bene il ministro della Propaganda del Terzo Reich».
In effetti, qualche rischio il maestro lo corre davvero. Le Ss sono sulle sue tracce. In particolare, due ufficiali fra i più brutali e spietati, detestati anche nell’ambiente del nazismo milanese: Walter Rauff e Paul Muller-Franken: «I due si misero a cercarlo freneticamente e probabilmente l’avrebbero trovato se la fortuna non fosse stata, complice il clima di sfaldamento del regime, dalla parte di Karajan». Un giorno infatti Henri Nannen, il responsabile di Sudstern, va difilato all’hotel Regina, 200 metri dal Duomo, allora quartier generale delle truppe tedesche e protesta con Saevecke: «Ma che vuole Rauff? E perché ce l’ha tanto con Karajan? Che gli ha fatto?». Riprende Riehle: «La verità è che tutti detestavano i metodi di quel nazista e dunque passava in second’ordine anche il fatto che il direttore d’orchestra avesse disertato».
Saevecke ordina di prendere quei due nazisti che agiscono con una ferocia senza uguali. A Riehle farà, mezzo secolo dopo, un’altra rivelazione: «Naturalmente, avrei dovuto cercare di arrestare anche Karajan ma lasciai perdere. Il conflitto stava per finire». E pure Saevecke vuole mettere in cassaforte il suo futuro.
La guerra è agli sgoccioli, la Germania sta per arrendersi. Il 25 aprile i partigiani insorgono, il 29 il corpo di Mussolini ondeggia appeso a un gancio del distributore di benzina di Piazzale Loreto, lo stesso luogo in cui un anno prima erano stati fucilati i quindici antifascisti. Aga è in mezzo alla folla impazzita e inferocita che fa scempio dei gerarchi morti. Con la sua modernissima macchina, presa in America quando era il dentista della Paramount, scatta foto bellissime. A un certo punto sbianca: «Herbert, che fai qui?» C’è anche Edoardo Visconti di Modrone, il fratello di Luchino che ha ospitato Karajan a Brioni nell’estate del ’41 e del ’42: «Herbert - gli grida - vai a casa. E chiudi la porta». Karajan li osserva interdetto: «Era convinto - riprende Riehle - che quella fosse una festa, non si era reso conto di quella situazione esplosiva». Finalmente, si decide e torna in via Marcora, al sicuro.
La vita riprende. Karajan e la moglie restano a casa di Hruska ancora un po’. Per qualche giorno, il direttore e la consorte trovano un altro rifugio, sempre in città, nell’abitazione di Franzi Mosetti. Solo due o tre notti, ancora impresse nella memoria dell’ormai novantatreenne Mosetti: «Vennero da me su indicazione di un amico triestino. Direi che Karajan non aveva una lira».
Poi ripartono. E lasciano Milano, prima per Venezia, ospiti per sei settimane di Annamaria Borletti, poi per Trieste, dove si stabiliscono a casa dei De Banfield e dei Tripcovich.


E a Trieste, nell’autunno ’45, Karajan dirige un paio di concerti per gli inglesi che hanno occupato la città. È il momento in cui i biografi lo vedono riemergere dal buco nero della guerra.
(2 - Fine
la prima puntata è stata pubblicata ieri)

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