Nairobi, Alice for Children: l'aiuto dei lettori del Giornale

Adozioni a distanza e donazioni. L'associazione di Daria e Diego Masi aiuta i bambini degli slum regalandogli uno spazio di felicità. Siamo andati a vedere quello che hanno costruito anche grazie all'impegno dei lettori del Giornale. VAI ALLO SPECIALE

Nairobi, Alice for Children: 
l'aiuto dei lettori del Giornale

Nostro inviato a Nairobi

Alice è un sogno a portata di mano. L’Africa è un continente immenso e contraddittorio. Nel centro di Nairobi ti multano con severità svizzera se fumi per la strada, ma l’oceano di baraccopoli che chiazza la metropoli è una terra di nessuno in cui non esiste legge. Bambini, tantissimi bambini, soli, ridotti a orfani senza futuro da Aids e malattie di ogni sorta. Un’occidentale piovuto in mezzo agli slum spera di trovare un qualche segno di vita aliena, una prova che tutto quello che succede in questa periferia del terzo mondo non possa essere nemmeno un lontano cugino dell’umano. Speranza presto vanificata. C’è, invece, chi in questa matassa delirante cerca di tirare un bandolo e scioglierlo. Diego Masi è un uomo colto e caparbio. Una sessantina di anni dietro alle spalle, divisi tra imprenditoria nel ramo della pubblicità, politica e impegno sociale, eloquenza british e pianificazione teutonica. La moglie Daria è una donna intelligente e acuta, occhio ceruleo penetrante e battuta sempre in tasca. Sono il braccio e la mente, a geometria variabile, di questo progetto.

Milanesi nel Continente Nero Due milanesi doc che hanno deciso di impegnarsi nella cooperazione. Hanno girato il mondo, per lavoro e per piacere, e poi hanno trovato qualcosa nel vuoto pneumatico degli slum di Nairobi. Un’idea nella testa: creare un pezzetto di pace in mezzo alle baraccopoli. Nasce così il progetto un po’ folle di Alice for Children. Un piccolo progetto con alle spalle una grande energia umana. Iniziano con una scuola di periferia, poi approdano a Korogocho e, un po’ per volta, danno vita all’Alice Village. Un piccolo paradiso in mezzo al verde della campagna attorno a Nairobi. Centocinquanta posti letto per altrettanti orfani, stanze pulite, un campo da pallone, molti giochi e il calore umano dei volontari. Il progetto si sostiene con le offerte e le adozioni a distanza ma, soprattutto, con la volontà della famiglia Masi. Al villaggio di Alice ci sono solo bambini orfani o con gravissimi problemi familiari. E la casistica è infinita: genitori morti per Aids, bambini maltrattati o violentati, figli di un qualche stupro compiuto tra le sbarre delle galere africane. Nei carceri femminili – ci racconta una fonte africana -, gli stupri sono all’ordine del giorno. I figli che nascono da queste violenze a tre anni devono lasciare il carcere e rimangono soli, abbandonati”. Un’antologia infinita di orrori umani, barbarie inimmaginabili che scompaiono tra le braccia dei volontari. Basta un letto, un bagno degno di questo nome e qualcuno che ti chieda come stai. In Africa questa elemosina di vita è già “casa”. Il poco diventa tanto, e il minimo sindacale superfluo. Centocinquanta bambini adottati a distanza e un villaggio in espansione. “Non vogliamo crescere all’infinito – ci raccontano -, il nostro obiettivo è la sostenibilità”.

L'aiuto dei lettori del Giornale Dall’Italia ci si prende cura di un bambino, con un minimo sforzo gli si assicura una fetta di dignità e un’ipoteca sul futuro. I più bravi andranno alle scuole secondarie (in Kenya la prima trance istruttiva dura otto anni e include le nostre superiori) e poi all’università. Accanto a loro dei validi volontari che dispensano affetto e cure ai più piccoli. Un lavoro duro: sempre un sorriso, un abbraccio e una parola di conforto. Anche in mezzo a un esercito di piccoli bambini frignanti. E poi ci sono le malattie. Siamo andati a vedere le baracche degli slum, a toccare con mano le aule e i bagni costruiti coi nostri soldi e con quelli dei lettori del Giornale. Strutture di mattoni e lamiera. Un’eccezione in una città costruita con fango ed escrementi di mucche e pecore. E poi l’incontro con i bambini, quelli adottati da voi e quelli da noi. I distance parents, genitori a distanza. Ma quando la distanza si accorcia e il bimbo, il figlio, è lì a pochi metri da te capisci che hai davanti un essere umano che ha bisogno di tutto, ma soprattutto di affetto. Tramite Alice è possibile aiutarli ad avere una casa, un letto asciutto su cui riposare e sognare un futuro migliore. Ma si può anche risarcirli di quell’abbraccio e di quel calore a cui un bambino ha diritto. Un’infanzia negata, lo si legge nei loro occhi, più profondi e tristi di quelli di un coetaneo europeo. I genitori a distanza possono scrivere ai loro bimbi, parlargli tramite Skype, spedire vestiti, penne e quaderni, ma anche andarli a trovare.

Un piccolo progetto per un grande paese. Ora bisogna costruire i pavimenti per le aule degli slum e nuovi edifici per il villaggio di Alice. Il percorso è ancora lungo e c’è ancora bisogno del nostro e del vostro aiuto.

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