Accusata di aver avvelenato le figlie, viene scagionata da una perizia dopo due anni di carcere

Per gli inquirenti la donna napoletana di 32 anni soffriva della sindrome di Polle, un disturbo mentale che affligge genitori o tutori e li spinge ad arrecare un danno fisico ai propri cari

Accusata di aver avvelenato le figlie, viene scagionata da una perizia dopo due anni di carcere

Prima il Tribunale di Roma, a fine ottobre scorso, poi quello di Napoli, pochi giorni fa, hanno scagionato, con formula piena, una mamma napoletana 32enne da una pesante accusa: secondo gli inquirenti aveva provato ad uccidere le figlie avvelenandole. Per questo motivo è stata rinchiusa in carcere più di due anni. Oggi, una perizia effettuata da un genetista nominato dalla difesa l’ha discolpata. Dagli esami è venuto fuori che le bambine hanno un’anomalia genetica, che non permetterebbe loro di espellere in maniera corretta i principi attivi dei medicinali ingeriti, cosa che farebbe pensare a un avvelenamento.

Per i periti dell’accusa, invece, la donna soffriva della sindrome di Polle, un disturbo mentale che affligge genitori o tutori, solitamente le madri, e li spinge ad arrecare un danno fisico ai propri figli o ad altra persona incapace, ad esempio un familiare disabile o, in alcuni casi, anche a un animale domestico, per farlo credere malato e attirare l'attenzione su di sé. Il genitore viene così a godere della stima e dell'affetto delle altre persone, perché apparentemente si preoccupa della salute dei figli. Il nome deriva dalla sindrome di Münchhausen, nella quale il paziente si fa del male per farsi credere malato e attirare l'attenzione su di sé.

Ora la mamma napoletana è libera ed è ansiosa di riabbracciare i propri figli, affidati per il momento a una comunità. “Ogni notte – ha dichiarato al Corriere della Sera la donna – guardavo le sbarre della cella dov’ero rinchiusa: un dolore che nessuno potrà mai cancellare. Per difendermi avevo solo le mie parole”. La sua permanenza in carcere non è stata semplice. Presa di mira dalle altre detenute ha dovuto subire più di un trasferimento, anche da una casa di reclusione all’altra. La sua odissea era cominciata qualche anno fa, nel 2015, quando una delle figlie, di soli tre mesi, fu ricoverata in ospedale con vomiti, diarrea, cianosi e irrigidimento del corpo.

Dopo una serie di cure, che non produssero i risultati sperati, la diagnosi dei medici fu che la bambina era stata avvelenata dalla madre, la quale venne segnalata al Tribunale per i minori. L’anno dopo anche l’altra figlia di tre anni dovette far ricorso alle cure ospedaliere, dal Santobono di Napoli fu trasferita al Bambino Gesù di Roma, per una violenta crisi respiratoria. Nel sangue della piccola fu trovato benzodiazepine e questo fece pensare nuovamente ad un tentativo di avvelenamento.

A quel punto scattarono le manette per la donna, fino alla perizia dei giorni scorsi, che ha messo fine a un incubo. “Cerco giustizia – ha spiegato al Corriere della Sera la donna – ma ora più di tutto fatemi riabbracciare le mie figlie”.

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