Trentasei anni fa morì in seguito a una trasfusione di sangue infetto, ma solo adesso, dopo una lunga battaglia giudiziaria, gli eredi riceveranno, per il caso di malasanità, il risarcimento record di 1 milione 50mila euro. Una donna di 67 anni di Caivano, alla periferia nord di Napoli, nel 1983 fu avvelenata dal plasma utilizzato dai medici durante il ricovero ospedaliero a Caserta.
La donna era ammalata da tempo di tumore al fegato e di cirrosi epatica da epatite C e aveva continuo bisogno di trasfusioni di sangue. Quelle effettuate nel nosocomio casertano, alla fine, sono risultate letali, come hanno stabilito i giudici dopo l’apertura del procedimento giudiziario in seguito alla denuncia da parte dei familiari.
Un processo lunghissimo, che ha visto soccombere il ministero della Salute, costretto a pagare un risarcimento milionario. Dalla sentenza emessa dai magistrati emerge che se si fosse intervenuti tempestivamente si sarebbe potuto sensibilmente ridurre il rischio di contagio.
Il virus fu contratto quando la donna era ancora giovane e ha agito nel suo corpo fino a debilitare il fegato e ad esporlo alle patologie che l'hanno portata alla morte nel 2011. La donna è stata una delle tante vittime del cosiddetto “scandalo del sangue infetto”, che ha coinvolto politici e funzionari sanitari tra gli anni ’80 e ‘90.
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