nostro inviato a Strasburgo
Come un colpo di frusta al cavallo impantanatosi in mezzo al guado e bloccato dal terrore di muoversi. Giorgio Napolitano sbarca in Alsazia e, caso raro per lui, smette la grisaglia da mediatore e inforca gli speroni. Basta immobilismo, no «alla difesa di anacronistiche prerogative e di velleitarie presunzioni nazionali»: serve una Costituzione che permette allEuropa di rispondere a sfide e opportunità che ormai la circondano da ogni lato. Serve che i governi facciano la loro parte, al di là dei referendum.
Si appella alla Francia affinché ritrovi «lo spirito del Paese fondatore», ma le randellate più dure le fa piovere - ma senza citarli - su quei governi, come Gran Bretagna e Polonia, che del «no» pronunciato da francesi e olandesi si sono fatti schermo per non scegliere: «Si può forse decidere da soli che il trattato costituzionale è morto? Che le firme di 27 capi di Stato e di governo non hanno alcun valore? Che i 18 Paesi i quali fino ad ora lhanno ratificato non meritano rispetto?». Laula lo segue con attenzione. Non solo perché è un vecchio amico che ha guidato la commissione Affari Costituzionali, ma anche perché mai un presidente della Repubblica si è sporto come lui nel rivendicare la fine dellimmobilismo. Piovono applausi da ogni settore. Lui non ci fa caso e procede ostinato nella lettura delle dieci cartelline. Fino a mettere i piedi nel piatto: con cattiveria se vogliamo, ma anche con sincerità.
Attenti, avverte. Nessuno pensi alla possibilità di una riscrittura di un testo «che è sì un compromesso, ma che è anche il risultato di una seria e profonda riflessione». Perché pretenderne una revisione sarebbe come «aprire il vaso di Pandora, correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e dai tempi imprevedibili». Rileva in pratica che se qualcuno si ostina a storcere il naso, pretendendo di mantenere il voto allunanimità e coprendosi dietro i rischi «di un superstato centralizzato», ci potrebbe essere anche chi comincia a reclamare maggiori cambiamenti, più politiche comuni. Non solo su energia, immigrazione, ambiente, politica di difesa - come appare ormai improcrastinabile - ma magari anche sulla «governance economia» che latita nonostante lintroduzione delleuro.
Non è quella di Napolitano una minaccia dietro cui far intravvedere la possibilità che un nucleo ristretto di Paesi possa riprendere la marcia da solo, senza gli scettici o gli indecisi: «LEuropa a due velocità - dice nella breve conferenza stampa che, assieme a Poettering, chiude la visita ufficiale allEuroparlamento - è ipotesi complessa e molto rischiosa...». Ma limmobilismo, per lui, non è più sostenibile. A forza di traccheggiare si perde il passo con «un mondo intero che - per dirla con Jean Monet, uno dei padri fondatori - è in movimento». Si aspetta, Napolitano, «segnali nuovi da Parigi» una volta consumate le elezioni per il dopo-Chirac. Dice di confidare nella Merkel, e si appella a «tutti i capi di Stato e di governo» perché assumano le loro responsabilità. In ballo, avverte, non cè solo il destino comunitario, ma di ogni Paese. «LEuropa potrà incidere solo se rafforza coesione ed unità, lalternativa è un declino drammatico», sostiene.
Lemiciclo in riva al Reno apprezza tanto a destra che a sinistra (tranne il gruppetto delleurorifiuto). Con chi ce laveva, gli chiedono alla fine. E Napolitano, senza peli sulla lingua: «In 7 devono ancora procedere a ratifica. E cè un obbligo giuridico».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.