Se ci si aggira per Washington, per la sua zona monumentale, si potrebbe avere l'impressione di aggirarsi per una città dell'Impero romano, o per una città della Grecia classica. Le moderne democrazie hanno preso a modello ideale (con tutta l'infedeltà storica necessaria all'operazione) le polis, anche nell'iconografia e nell'architettura. E in special modo hanno guardato all'Atene di Pericle (495-429 a.C.). Del resto la stessa parola «democrazia» tradisce chiaramente le sue origini e persino gli illuministi, così propensi a guardare al futuro, hanno, a più riprese, guardato alla culla della classicità per giustificare ed esaltare un potere che nasce dal basso. A questa culla ha appena dedicato un libro il grecista Giorgio Ieranò che sarà nei prossimi giorni al Festival del classico di Torino. Si intitola Atene. Il racconto di una città (Einaudi, pagg. 228, euro 21) e rende conto di tutta la stratificata storia della città dall'antichità ai giorni nostri. Noi gli abbiamo chiesto di raccontarci mito, realtà e memoria moderna della democrazia ateniese.
Professor Ieranò quando nasce la democrazia ateniese?
«La nascita di quella che noi chiamiamo Democrazia è un processo molto lungo e conflittuale. Se dovessimo fissare una data chiave io sceglierei il momento in cui due politici ateniesi, Pericle ed Efialte, ridussero il potere dell'Aeropago, un antico tribunale che era essenzialmente un'istituzione nobiliare, aumentando così il potere dell'assemblea che invece era un'istituzione prettamente legata al demos, e dove per dirla in termini moderni uno vale uno. Accadde tra il 462 e il 461 avanti Cristo. Diciamo che la democrazia nacque dalle scelte anticonformiste di alcuni nobili ateniesi, tra cui un certo numero di membri della famiglia degli Alcmeonidi, che decisero di puntare sull'appoggio dei ceti popolari».
Non è un fenomeno che parte dal basso?
«A partire da Clistene un pezzo della nobiltà ha fatto delle scelte che hanno cambiato gli equilibri politici della città. Con Pericle si radicalizza questa volontà, aumentando i poteri dell'assemblea. Bisogna dire con grande onestà che il miracolo della democrazia è largamente un invenzione di alcuni aristocratici».
E il modello politico ateniese è davvero la culla delle nostre istituzioni moderne? O ci sono differenze radicali?
«Il dibattito sulle differenze tra Atene e le istituzioni nate a partire dalla Rivoluzione americana è secolare. E ci sono sostanzialmente due scuole di pensiero. Da un lato c'è chi ha sottolineato la continuità con l'Atene del V secolo. Spesso tra costoro, gli stessi politici che delle democrazie erano promotori. Da questo punto di vista l'architettura di molti edifici pubblici degli Stati uniti, nel suo richiamo alla classicità, è già una presa di posizione ad esempio, una volontà di collegarsi a quell'idea. Poi ci sono state molte interpretazioni storiografiche attente a marcare le differenze. Il corpo civico ateniese era molto ridotto, le donne, e gli stranieri, erano completamente esclusi ed emarginati dall'attività politica. C'era un'esclusività dei diritti molto lontana dalla nostra idea attuale dei diritti dell'uomo. Ed era una democrazia carica di ambiguità. Lo storico Tucidide elogia Pericle sottintendendo che la Democrazia di Atene è per certi versi una democrazia a parole perché, alla fine, è la forza oratoria del leader a governare l'assemblea. Tucidide apprezza questa capacità di Pericle, sia chiaro, ma evidenzia tutti i limiti di una democrazia diretta dove alla fine a comandare davvero erano i grandi retori nonostante sulla carta il demos, il popolo con diritto di voto, potesse tutto».
Ad Atene c'era l'assemblea ma c'era anche un altro spazio molto popolare, l'Agorà, la piazza del mercato. Possiamo considerarla una società civile, quella sempre invocata come contraltare della politica, almeno in nuce?
«L'agorà è uno spazio assolutamente nuovo e tipicamente greco per certi versi. Erodoto racconta che Ciro il Grande si fece raccontare come vivevano i greci. E sentendo del loro bighellonare in piazza li etichetto rapidamente come gentaglia di cui non preoccuparsi troppo. Quello spazio da altri è stato idealizzato ad esempio ai giorni nostri il sociologo Zygmunt Bauman ha parlato della necessità di costruire una nuova agorà, uno spazio pubblico condiviso. Ma in realtà, al di là delle idealizzazioni, era uno spazio molto caotico dove si poteva incontrare di tutto, c'erano i perdigiorno che oziavano nelle botteghe, c'erano i mercanti. Ad Atene la collina della Pnice era uno spazio prettamente politico, l'Agorà era anche lo spazio di chi, magari a fare politica, sulla Pnice non aveva voglia di andarci. Quindi non bisogna nemmeno credere troppo al mito identitario della cittadinanza, quello che esce, ad esempio, dai discorsi di Pericle riportati da Tucidide».
In che senso?
«Esisteva un'identità ateniese ma esistevano, anche, fortissime divisioni interne di vario tipo. Una serie di assi di separazione molto forti e non mi riferisco solo a quelli già citati tra chi aveva il diritto di voto e chi no. La politica, alla fine, era considerata soprattutto una cosa inerente a chi aveva la capacità di portare le armi e difendere la città in guerra. Quindi, ad esempio, gli anziani erano cittadini, ma sino ad un certo punto. Poi tra il marinaio che serviva sulle triremi e il cavaliere, cioè il nobile che combatteva a cavallo, restavano un sacco di differenze. Uno passava sul destriero in mezzo all'agorà, l'altro ci andava per comprare cose al mercato. Se sotto la minaccia dei persiani i loro interessi potevano avvicinarsi moltissimo, in altri casi restavano largamente divergenti. Nella conflittualità con Sparta già la questione era molto diversa e potevano crearsi consistenti incrinature. Nobili come Alcibiade o Senofonte sono stati ampiamente filospartani, trovavano il sistema spartano di potere più confacente al loro modo di vedere il mondo. La critica alla democrazia è già degli antichi».
C'erano anche sistemi, che a noi possono apparire bizzarri, per contenere le tensioni politiche come l'ostracismo.
«Poter allontanare dalla città gli elementi considerati pericolosi per l'equilibrio interno, in base al voto popolare, era un modo per compensare alcune di quelle tensioni di cui parlavamo prima, una forma di autoconservazione. Il sistema politico oscillava tra polarità autoritarie e l'idea che uno vale uno».
Anche per questo Pericle ha creato un potente apparato simbolico, a partire dalla ricostruzione dell'Acropoli?
«È un passaggio fondamentale. Dai Propilei al Partenone passando dall'Eretteo la ricostruzione fu una gigantesca celebrazione della potenza di Atene, una monumentalizzazione della vocazione imperiale ateniese. Ma già all'epoca ci furono dure contestazioni del radicalismo democratico di Pericle e anche dei suoi simboli. Tucidide, pur lodando le enormi realizzazioni di Pericle, e la rapidità dei lavori ci segnala anche gli argomenti degli oppositori. Lo accusarono di agghindare Atene come una prostituta e di farlo utilizzando i soldi rubati alle altre città. Fidia finì in carcere e anche Pericle venne attaccato a livello giudiziario...».
Ma tutto questo splendore si chiuse molto presto con un gigantesco crollo politico.
«Di fatto già le Storie di Tucidide sono un apologo di come Atene ha costruito la sua sconfitta. Per lo storico era tutta legata agli eccessi iper popolari della politica post periclea e l'eccessiva violenza e coercizione verso le altre città. Come ha notato un antichista di vaglia, Luciano Canfora, sono spesso le stesse democrazie che votano il loro scioglimento scegliendo l'autocrazia. Esiste sempre il rischio della tirannia della maggioranza».
Oggi siamo abituati a pensare alla democrazia quasi come ad un esito politico inevitabile. La storia sembra dirci il contrario...
«La democrazia nella storia greca rappresenta un breve periodo, è stata preceduta, ha coesistito ed è stata seguita da regimi diversi. Pericle era conscio della specificità ateniese e pensava che Atene dovesse essere un modello per il resto delle città greche. In sostanza Atene doveva far scuola al resto dell'Ellade. Ma possiamo dire, col senno del poi, che gli scolari sono stati riluttanti, non hanno seguito la lezione proposta.
Pensare la democrazia come l'entelchia del sistema politico era un azzardo allora come lo è adesso. Possiamo considerare la democrazia come il migliore dei regimi politici ma non si può dare per scontato il suo avvento come se fosse il più naturale».
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