Nascosti per 65 anni, tornano i capolavori dell’Istria

Paolo Veneziano, Carpaccio, Vivarini, Tiepolo: finalmente recuperati ed esposti al Museo Revoltella di Trieste

«Io penso che il patrimonio artistico nazionale debba essere difeso strenuamente e con ogni mezzo... alla stregua delle famiglie, delle case, della terra». Scriveva così nel 1940 il ministro Giuseppe Bottai, già ispiratore della legge per la tutela del patrimonio artistico e ambientale. Fra i tanti contrari alla nostra sconsiderata entrata nel conflitto, Bottai emanava in quello stesso anno una legge sulla «Protezione delle cose d’interesse artistico, storico, bibliografico e culturale della Nazione in caso di guerra». Era un triste presagio il suo che, alla luce di quanto avvenne poi, può considerarsi autentica lungimiranza.
In base alla legge, tra il maggio e il giugno del ’40, un enorme numero di opere d’arte, provenienti da chiese, edifici, collezioni pubbliche e private di un territorio che dal Friuli-Venezia Giulia si estendeva fino all’Istria e a Fiume, venne rimosso e ricoverato nei pressi di Udine a Villa Manin di Passariano. E si trattava di opere che costituiscono una delle maggiori testimonianze dell’arte italiana e veneta, dal Trecento al Quattrocento, le stesse che dopo 65 anni possono tornare allo studio degli specialisti e all’ammirazione del pubblico dopo una lunga segregazione. Da oggi sono esposte a Trieste al Museo Revoltella nella mostra «Histria: opere d’arte restaurate. Da Paolo Veneziano a Tiepolo», inaugurata ieri alla presenza del ministro per i Beni culturali Buttiglione, degli esponenti della soprintendenza, dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e dello storico dell’arte Vittorio Sgarbi.
Fu Sgarbi infatti (all’epoca sottosegretario ai beni culturali) ad autorizzare nel 2002 la Soprintendenza per il polo museale romano ad aprire le casse che, dopo lunghe peregrinazioni giacevano dal 1972 nei depositi del Museo di Palazzo Venezia e ad avviarne il restauro. Era una scelta che sbloccava una situazione assurda, come spiega lo stesso Sgarbi nel catalogo della mostra (curato da Francesca Castellani e Paolo Casadio, edito da Electa): «Dietro quel blocco c’erano da parte dello Stato italiano imbarazzo e sensi di colpa che non si volevano riesumare». Si trattava cioè di riaprire l’ampio capitolo della “slavizzazione” forzata dell’Istria e della cacciata degli italiani. Mancavano poi accordi diplomatici fra Italia e Jugoslavia in materia di restituzione di opere d’arte. Altro motivo del pluriennale “congelamento”.
C’è voluto del coraggio perché così dipinti meravigliosi di Paolo Veneziano, dell’ultimo Carpaccio, di Alvise Vivarini, di Alessandro Algardi, di Giambattista Tiepolo uscissero dalla lunga reclusione e tornassero alla luce, ideale indennizzo alle sofferenze degli istriani che alla fine della guerra dovettero abbandonare la loro terra.

In quanto a stretta collocazione territoriale, le opere potrebbero essere rivendicate da Slovenia e Croazia che si sono spartite l’Istria ma il loro humus storico e culturale è assolutamente italiano e come tali sono legate alla storia degli istriani, a quella «terra ideale e reale che è l’Istria del cuore - scrive ancora il critico d’arte - l’unica che oggi esiste e resiste, a qualunque nazione appartenga».

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