Lo scrittore Stephen Graham Jones è nato il 22 gennaio, quindi sotto il segno della Lontra, animale totemico che rappresenta la custodia e la difesa dei valori sacri. Perché lui è un Piedi Neri, ovviamente ne è orgoglioso e l'ha anche ufficializzato, diventando membro della Blackfeet Tribe of the Blackfeet Indian Reservation of Montana, anche se è nato, nel 1972, a Midland, Texas. Bachelor e Master of Arts in inglese e Bachelor of Arts in filosofia, come tesi di laurea ha scritto... un romanzo. Un romanzo in cui vengono mandati gambe all'aria tutti i luoghi comuni del western; in cui indiani, cowboy e fuorilegge si scambiano i ruoli; in cui Pidgin, il protagonista mezzosangue, abita in un mondo tutto suo, fra alieni, fantasmi e telecinesi; e in cui gli indiani, con rispetto parlando, «lo prendono sempre nel culo». Il romanzo-tesi (che è anche un romanzo a tesi) s'intitola The Fast Red Road: A Plainsong, è stato pubblicato nel 2000 e non ne esiste la versione in italiano. In italiano, prima d'ora di Stephen Graham Jones era uscito soltanto un libro, la raccolta di racconti The Ones That Got Away, diventata Albero di carne da Racconti Editore nel 2013: storie dell'orrore fra rodei infernali, sparizioni e secondini sub-umani.
Ma torniamo alla Lontra. Custodia e difesa dei valori sacri. Una specie di comandamento, per i nativi americani. Forse il più importante dei comandamenti, viene da pensare a un bianco ignorante in materia dopo aver letto Gli unici indiani buoni, terz'ultimo romanzo del Nostro e uscito da poco presso Fazi Editore, naturalmente nella collana «Darkside» (pagg. 350, euro 18,50, traduzione di Giuseppe Marano), perché anche qui di orrore si tratta. Tuttavia di un orrore che nasce dalla disobbedienza ai valori sacri, e che muore per mano di chi quei valori sacri vuole custodire e difendere. A tutti i costi.
L'antefatto risale a dieci anni prima degli eventi che l'autore narra con una perizia quasi rituale e con notevole tempismo nel far esplodere tutto il weird e il pulp che compongono il suo abituale registro. Dunque, sono trascorsi dieci anni da quando, nella riserva indiana del Duck Lake, Ontario, quattro ragazzi, Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy, ebbero la pessima idea di andare a caccia di wapiti nell'area riservata agli anziani. Il wapiti è il Cervus canadensis, e gli indiani ne utilizzano la pelle come copertura dei tepee, le caratteristiche tende coniche che ogni bambino, bianco o di qualsiasi altro colore, ha imparato a conoscere dai fumetti e dai film, prima che dai libri di scuola. Quei ragazzi, oltraggiarono non soltanto i diritti di anzianità, ma anche la Natura, poiché durante la battuta Lewis uccise una wapiti gravida, seppellendone poi il nascituro in tutta fretta.
Cresciuti (tutti piuttosto male) e allontanatisi dalla vita nella riserva, i quattro hanno dimenticato quell'episodio. Lewis si è sposato con Peta, una bianca, e lavora in un ufficio postale. Gabe è ormai l'ex marito di Trina (che si è trovata un altro uomo) con la quale ha avuto Denorah, grande talento del basket, e trascina la propria esistenza fra una birra e l'altra. Cassidy ha una fidanzata, Jo, indiana ma non Piedi Neri, bensì Crow, ed è quasi pronto a sposarla. Che il loro futuro sia segnato lo si intuisce quando Ricky muore, ufficialmente durante una rissa fra ubriachi, sotto gli occhi di una «enorme sagoma scura, che si arrampicava su una 280Z bianco perla, fuori posto. E non era un cavallo, come aveva pensato d'istinto. Gli scappò un sorriso. Era un wapiti, no? Grosso e bene in carne, con i palchi non ramificati, troppo ottuso per capire che lì ci andavano le persone, mica gli animali. (...) Il pick-up contro il quale si era scaraventato il wapiti si offese molto di più, e il suo allarme acuto e penetrante squillò talmente forte che l'animale si piantò nel terreno con tutti e quattro gli zoccoli».
Il wapiti che anche Lewis vede o crede di vedere in casa sua è un fantasma che gli evoca la disavventura giovanile. E conseguentemente gli fa maturare il rimorso. In breve va talmente fuori di testa da sovrapporre e far coincidere quella presenza che lo tormenta, e che gli ammazza l'amato cane, prima con Shaney, la sua nuova collega con la quale ha un flirt e che successivamente scopriremo essere cugina di Jo, la morosa di Cassidy, e poi con Peta. Nel crescendo del delirio, prima si accanisce sull'una e poi non presta soccorso all'altra a seguito di un, chiamiamolo così, incidente domestico. E Peta oltretutto è incinta, all'insaputa di Lewis. Come la wapiti di dieci anni prima... «La terra reclama ciò che si abbandona» è la frase che l'autore lascia cadere a un certo punto dall'alto, scolpita nell'anima del suo popolo, stentorea come un aforisma di Toro Seduto. Insomma, il fuggitivo Lewis non fa molta strada. «Follia omicida di un nativo, finora due morti, un neonato scomparso», titola un quotidiano. Ma senza specificare che il neonato è... un wapiti.
Siamo a metà del libro e il peggio deve ancora arrivare. Il peggio porta un titolo tarantiniano (ricordate il capitolo «Massacro ai Due Pini» di Kill Bill: Volume 2?): «Massacro nella capanna del sudore». Lasciarsi quasi lessare nella capanna sudatoria gettando mestolate d'acqua su pietre arroventate è quel che ci vuole per il terzetto, dopo che tutti sono tornati a far mente locale su quella maledetta battuta di caccia di dieci anni prima. Si tratta infatti di un rito sciamanico di purificazione. Lo organizza Cassidy e la rimpatriata è aperta anche a «un poliziotto della tribale» e a suo figlio. E lì nei pressi va in scena il trionfo della «donna con una testa non umana», della donna-wapiti giunta a far scontare a chi lo merita (e anche a qualche innocente) le colpe del passato. Più che una donna, è ancora una ragazzina, e l'ultima a fare i conti con lei è un'altra giovanissima, la figlia di Gabe.
Ma, comunque vada, non si pensi a un lieto fine. Di lieto non c'è nulla quando a scatenarsi è una Nemesi di tipo particolare: non amministra la giustizia, ma si fa giustiziera. E interprete della Natura che, dopo essere stata madre, diventa matrigna.
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