Agli uomini interessa una cosa sola

Sono sempre di più le difficoltà per il genere maschile. Che, almeno apparentemente, ha perso la sua bussola. Ovvero la capacità al sacrificio

Agli uomini interessa una cosa sola
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Agli uomini interessa solo una cosa. E no, non è quella che pensate. Agli uomini, quando non fanno i cretini (e questo è un fatto abbastanza raro), interessa avere una battaglia da combattere. O almeno sognarne una.

È il motivo per cui i film di guerra ci piacciono tanto: perché vorremmo, almeno una volta nella vita, essere l’eroe che salva tutti. Quello che si tuffa tra i proiettili per salvare l’amico ferito. Oppure Massimo Decimo Meridio, il mitico gladiatore di Ridley Scott, che riesce ad ottenere la sua vendetta in questa vita e a riunirsi con la sua famiglia nell’altra. Oppure William Wallace che, prima di portare i suoi uomini all’attacco, dice: “Agonizzanti in un letto fra molti anni da adesso siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere l’occasione, solo un’altra occasione, di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che ci possono togliere la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!”. Perché il nocciolo della questione è tutto qui: vivere bene il tempo che ci è dato. E per un uomo questo significa una cosa sola: essere coraggioso. Ovvero esercitare la virtù della fortezza che, come insegna il filosofo Josef Pieper, rappresenta la disponibilità ad essere feriti. Non solo in battaglia, quello oggi è l’immaginario, ma anche e soprattutto nel quotidiano. E questo per fare unicamente ciò che va fatto.

È ciò che accomuna tutti gli eroi, da quelli antichi a quelli dei tempi moderni, che tanto ci piacciono. Perché, ed è inutile girarci attorno, tutti gli uomini hanno dentro di sé una aggressività, che è una cosa buona perché è ciò che ci fa progredire (adgredior, andare avanti) che però va incanalata. È ciò che Federico Tisi chiama Forza tranquilla, quella forza che forma e dà carattere. Che ci plasma. Che ci fa essere protettivi e assertivi. È per questo che “l’uomo, per sentirsi pienamente preparato alla vita, doveva esserlo anche nel combattimento, ed è la storia a mostrarci come, fino alla conclusione del XIX secolo, l’arte del combattere faceva parte a tutti gli effetti del percorso educativo di qualsiasi gentiluomo, al pari del saper leggere e scrivere”, scrive Tisi.

Cosa accadde poi? Vennero le due guerre mondiali. Generazioni travolte da conflitti sempre più violenti e disumani. E il desiderio, certamente giusto, di una pace eterna e di un mondo senza nemici. Che però non esiste e mai esisterà. Perché il nemico, quello vero, è dentro di noi: è quello che ci spinge a non migliorarci. Quello che non vede che il nostro primo avversario siamo noi. Il soldato che si tuffa nella mischia, Massimo Decimo Meridio, William Wallace o Batman non sarebbero stati quello che sono diventati se non si fossero imposti una disciplina. Che costa fatica, è vero. Ma che ci prepara. È un'ascesi continua, un percorso che non finisce mai.

Se non quando si esala l’ultimo respiro. Ed è a quel punto che capiremo se abbiamo vissuto davvero, senza risparmiarci. Come dice James Bond, riprendendo Jack London, “non sprecherò i miei giorni tentando di prolungarli. Farò buon uso del mio tempo”.

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