Caso Orlandi, rispunta la pista del convento in Lussemburgo

Rispunta dal passato la pista del convento lussemburghese di Peppange dietro la sparizione di Emanuela Orlandi, la figlia 15enne del dipendente del Vaticano scomparsa sparita il 22 giugno 1983. Se ne parlerà domani alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla sparizione della ragazza e di Mirella Gregori con l’audizione del supersbirro Nicola Cavaliere, allora capo della Sezione omicidi della Questura di Roma, che nel luglio del 1993 guidò la delegazione - assieme ai genitori e al fratello della Orlandi e il giudice istruttore Adele Rando - che si recò nel villaggio nel cantone di Esch-sur-Alzette del Lussemburgo da un migliaio di abitanti, forte di una segnalazione affidabile secondo cui la ragazza - sedata e ormai senza memoria - era prigioniera nel locale convento di clausura. Una pista che avrebbe avuto anche il conforto dell’avvocato Gennaro Egidio, che allora assisteva gli Orlandi e i Gregori e che aveva ricevuto una segnalazione sostanzialmente identica.

Decisiva fu il racconto di Frank Dobon a una fonte confidenziale legata alla Gendarmeria vaticana e una foto consegnata al funzionario vaticano (e vicino di casa della Gregori) Raoul Bonarelli con una ragazza al piano con le fattezze della Orlandi, ma il buco nell’acqua fu clamoroso.

Il convento venne circondato, La giovane che avrebbe dovuto essere Emanuela non venne riconosciuta dalla mamma Maria anche se la somiglianza tra la scomparsa e la suora - all’anagrafe risultata la belga Patricia Dubois, nata il 15 giugno 1964 - all’apparenza c’era. Ma perché anche la Questura di Roma era sicura della pista? Qualche altra fonte vaticana aveva dato conferma alla polizia? Domande a cui Cavaliere, giocoforza, dovrà rispondere a distanza di oltre trent’anni.