Il fascicolo all’Archivio di Stato sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarà pure vuoto, ma ci sono dei pezzi di verità che rischiano di far riaprire sia la vicenda del rapimento della figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia Ercole Orlandi, sparita il 22 giugno 1983 alla fermata del 70 in Corso Rinascimento a Roma, davanti al Senato ma anche il fallito attentato contro Papa Giovanni Paolo II.
Andiamo con ordine. Nei giorni scorsi il fascicolo desecretato del ministero dell’Interno e dell’Ucigos che avrebbe dovuto contenere le informazioni sulle diverse indagini legate alla scomparsa della ragazza è stato trovato vuoto. O meglio con tre fotocopie in cui si fa riferimento ad alcni ritagli stampa, dove vengono menzionati l’attentatore di Karol Wojtyła Alì Agcà, il «fronte Turkesh» ma anche «Phoenix».
Secondo Simona Greco, responsabile delle Raccolte speciali per conto del senatore Andrea De Priamo, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa della Orlandi e di Mirella Gregori (un’adolescente romana scomparsa il 7 maggio 1983) a causa di un’interpretazione restrittiva della Direttiva di Matteo Renzi che ha consentito la desecretazione, alcuni enti hanno riversato solo i titoli, non l’intero archivio.
Ma c’è una novità su Ali Acga è in un libro (molto letto in Vaticano) che potrebbe riaprire anche l’inchiesta sull’attentato a Wojtyła nel ventennale della morte ma che confluisca anche nel dossier Orlandi. Si tratta di «Il Papa deve morire» di Ezio Gavazzeni (Paperfirst edizioni) la cui preparazione era stata annunciata dal Giornale un anno e mezzo fa. Tutto ruota sulla possibile pista armena, mai presa in considerazione, dietro i veri mandanti di Ali Agca, il materiale esecutore dell’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981. Che arriva dopo una lunga serie di attentati a degli alberghetti romani che il Vaticano, d’accordo con il governo italiano usava per esfiltrare i dissidenti armeni e portarli in salvo negli Stati Uniti, ma anche minacce contro Giovanni Paolo II che il Viminale secondo Gavazzeni ritenevano concrete. Nel libro ci solo quasi 200 documenti originali provenienti da ministero dell’Interno, Palazzo Chigi, servizi segreti tra il 1979 e il 1985, che dimostrano come in quel periodo, fino al 1983 Asala minacciava di morte Karol Wojtyła. «Il terrorismo armeno dell’ultimo quarto del XX secolo è principalmente il risultato dell’attività del Kgb sovietico», ci aveva spiegato l’autore. Agca sarebbe molto amico di uno dei capi militari dell’Asala, il terribile esercito segreto armeno ispirato all’ideologia marxista-leninista e fondato nel gennaio 1975 a Beirut in un campo di George Habbas. Il suo nome è Teslim Tore, leader del Partito comunista turco fuorilegge Tpek, il movimento filo-sovietica più estremista, noto anche come «il Palestinese» per i suoi contatti con le organizzazioni di guerriglia marxiste-leniniste palestinesi. Si muove spesso tra la Siria e la Bulgaria, è legato a doppio filo ad Asala. Nato a Malatya come Agca, Tore è un terrorista e un contrabbandiere di armi, ma anche un istruttore e un reclutatore. A 19 anni Agca sarebbe entrato segretamente in Siria, accompagnato proprio dal suo mentore Tore in un campo di guerriglia, anche se al giudice Ferdinando Imposimato dichiarerà di essere andato ad addestrarsi nel campo di George Habas una volta sola, nel 1978 ma oggi sappiamo che non è vero.
Tra i documenti inediti raccolti dall’autore dopo un lungo lavoro di ricerca su materiale recentemente desecretato, c’è un documento cruciale, che «il Giornale» è in grado di esibire per gentile concessione dell’autore, da cui sembrerebbe che qualche mese prima di compiere l’attentato a Karol Wojtyła, Agca avesse richiesto un visto italiano. Da un documento polacco viene fuori che il 16 maggio 1981, dalla residenza dell’intelligence civile di Belgrado (dove Agca sarebbe arrivato nel marzo del 1981 per comprare la pistola per compiere il suo attentato), fu inviato al quartier generale di Varsavia un documento cifrato n. 2596, firmato «Kostrzewa» secondo cui la locale Sezione consolare dell’Ambasciata della Repubblica Italiana aveva accertato che Agca viaggiava con un passaporto giordano. Il visto italiano non venne concesso perché secondo la nostra intelligence «aveva legami con i palestinesi di George Habash (che delle tre anime del Fronte di liberazione della Palestina era quella minoritaria) ma veniva aggiunto che secondo la questura di Roma Agca potesse essere stato «manovrato» dall’intelligence israeliana.
«Sarebbe interessante capire com’è che la Sezione consolare dell’Ambasciata italiana possiede questa informazione che parla del legame tra Ali Agca e il mondo palestinese, e per quale ragione la questura di Roma risponde che è forse manovrato dal Mossad», scrive Gavazzeni.
Ma cosa lega Agca e gli armeni con la Orlandi? Durante una telefonata uno dei sedicenti (e anonimi) carcerieri della ragazza farà un lapsus freudiano parlando di Asala invece che di Ansa. Un errore? Un depistaggio? Peraltro, quando viene fermato, Agca verrà subito identificato come armeno. Sarà lui a dire: «No, sono turco».
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