Quando siamo stati a Monfalcone, lo scorso inverno, in occasione dell'inaugurazione della mostra su Goli Otok realizzata con l'Unione degli istriani e esposta dal Comune, abbiamo notato una cosa, passeggiando per le vie della città: le persone straniere erano molte. "Rappresentano il 30% della popolazione", dice oggi Anna Maria Cisint che, recentemente, ha scritto una lettera ai musulmani che abitano a Monfalcone affinché non facciano il bagno in mare vestiti.
Sindaco, come è nata questa lettera?
Abbiamo investito tantissimo nel litorale. Monfalcone è una città che cerca di evolversi e di dare delle prospettive migliori ai cittadini e ai giovani, anche dal punto di vista lavorativo e delle attività di divertimento. In particolare, abbiamo investito molto su Marina Julia e Marina Nova e, devo dire, con ottimi risultati visti i numeri che facciamo. 15mila persone nel fine settimana per noi significano turismo, servizi e tanto altro ancora. Sono stata più volte bombardata da numerosi cittadini che mi hanno scritto su Messenger, chiamato al cellulare o fermata di persona, soprattutto dopo i sabati e le domeniche, comunicandomi il loro fastidio per alcune persone che si accampano in quel tratto di spiaggia.
Cioè?
Arrivano con degli abiti classici, che ormai conosco bene, tipici delle donne musulmane. Il più delle volte sono abiti lunghi, con tanta stoffa. Spesso le donne hanno anche il chador e tutto il resto, pure il burqa. Con lo stesso vestito si infilano in acqua e poi salgono sugli autobus. Ho ricevuto molte segnalazioni.
È dunque una richiesta dei cittadini?
Sì, perché sono stata contattata da tanti cittadini. In questi due giorni ho ricevuto tanti messaggi, tante mail di persone che mi ringraziano. E non solo da Monfalcone. Vuol dire che è una questione sentita.
Quanti sono gli stranieri a Monfalcone?
La città è abitata da 30mila persone e il 30% è composto da stranieri. Le dirò anche che noi siamo molto toccati da alcuni dati di questa città, dove c'è un'elevata percentuale di musulmani, circa 9mila, 5mila dei quali bengalesi musulmani. Di questi, lavorano poco più di 1700 uomini e soltanto 7 donne.
Che cosa rappresentano questi dati per lei?
Questi dati la dicono già lunga sulla modalità di intendere la donna che ha la comunità musulmana. Tanto è vero che nell'ultimo anno abbiamo notato un incremento del numero delle donne che stanno utilizzando il velo integrale e anche i guanti, in un evidente aumento dell'integralismo. Ne ho parlato con i capi delle comunità, che sono cinque, due o tre dei centri culturali e altrettanti presidenti di associazioni. Ho spiegato loro che il tema ci preoccupa molto.
Come vive questa situazione la cittadinanza?
Da una parte la città è consapevole e anche un po' stanca di questo incremento continuo - dovuto anche alla legge permissiva sui ricongiungimenti - che ha cambiato e modificato la realtà sociale della città. Dall'altro, per quanto riguarda la spiaggia, come dicevo sono stata molto sollecitata dai cittadini. È una questione di lotta al degrado. Per me, e per noi, quella del mare è un'attività importante e queste pratiche le riteniamo di dubbia valenza dal punto di vista del decoro. Ci sembra inoltre che generino un capovolgimento di regole nella convivenza.
In che senso?
Quando si parla di integrazione, mi pare che questa che le ho raccontato sia una provocazione inaccettabile. Ritengo che sia un rafforzamento di una visione separatista nella nostra società, quasi un mezzo di oppressione delle donne. Le donne diranno di no, ma di fatto qui camminano dietro all'uomo, lavorano solo in sette e stanno col velo integrale fino agli occhi. Non sono in una condizione di parità. Entrano in acqua con abiti lunghi fino a terra, spesso con le scarpe, e questo non è accettato dalla città.
L'obiettivo del vostro comune è una integrazione delle persone straniere?
C'è un equivoco di base. In uno dei comunicati che ieri ha fatto la sinistra, la consigliera Pellegrino ha scritto che se a me non va bene questa situazione posso cambiare Paese. Io sono italiana, sono nata qua, mio padre è morto di amianto perché ha lavorato per anni in un cantiere. Ho 59 anni e due figli. Le sembra normale che una consigliere regionale possa venire a dirmi che devo cambiare Paese? In ogni caso, tornando al tema iniziale, non ci sono nemmeno condizioni di reciprocità. Io non mi permetterei mai di andare in una spiaggia pubblica, in certi Paesi, con un bikini, perché so che in certi luoghi questa usanza non è tollerata. Io avrei rispetto della loro sensibilità. Qui, da parte di molti stranieri, manca anche il rispetto del contesto.
Secondo lei gli stranieri presenti a Monfalcone vogliono integrarsi?
Non ho l'impressione che siano interessati ad integrarsi. Parlo della mia esperienza qui, poi magari mi sbaglierò. Ma se l'integrazione deve essere intesa come un “tu dai a me quel che voglio e fai quello che voglio io”, allora per me questa non è integrazione. Quindi di cosa stiamo parlando? Se vogliamo integrare le persone ci deve essere una volontà reciproca di volersi integrare.
E per quanto riguarda la spiaggia?
Io sono contenta che vadano tutti in spiaggia, non voglio limitare l'accesso. Ci sono però delle regole da seguire. Per andare in acqua servono delle condizioni di decoro. Capire il contesto sarebbe già il primo passo verso una buona integrazione. Parlare in italiano nei luoghi di culto anche. Nella vita non possiamo soltanto dare senza ricevere. Quella non è integrazione ma quasi una sostituzione. Non abbiamo niente contro nessuno, ma non vogliamo neppure andare verso una islamizzazione o subirla senza far capire che abbiamo anche una dignità e una spina dorsale.
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