"L'Atleta di Fano ritorni in Italia", la sentenza della Corte europea dei Diritti umani

Il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty è stato respinto: "La protezione del patrimonio culturale e artistico di un Paese rappresenta una priorità"

"L'Atleta di Fano ritorni in Italia", la sentenza della Corte europea dei Diritti umani
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Potrebbe essere finalmente giunto a una svolta il lungo contenzioso in essere tra lo Stato italiano e la Fondazione Paul Getty in merito al possesso della celebre scultura bronzea greca ribattezzata "Atleta di Fano" in riferimento all'episodio del suo rintrovamento nelle acque al largo delle Marche.

La Corte europea dei Diritti umani ha infatti respinto all'unanimità il ricorso presentato dalla fondazione per violazione della protezione della proprietà: ciò significa quindi che l'Italia ha il diritto di poter tornare in possesso, confiscandola o chiedendone la restituzione, della statua che ad oggi si trova custodita all'interno del museo della Villa Getty di Malibu, in California.

Con la sua sentenza, la Corte di Strasburgo ha in sostanza sancito la legittimità delle azioni legali intraprese dal nostro Paese per riportare entro i confini nazionali l'opera d'arte che fu raccolta casualmente dalle reti del peschereccio italiano "Ferruccio Ferri" nelle acque del Mare Adriatico al largo di Fano il 14 agosto del 1964.

La scultura, nota coi nomi di "Atleta di Fano", "Atleta vittorioso", "Atleta che si incorona" o "Lisippo di Fano", e conosciuta negli Usa semplicemente come "Victorious Youth" (Giovane vittorioso), è realizzata interamente in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa e dovrebbe risalire a un'epoca compresa tra il IV e il II secolo avanti Cristo. Gli occhi, oggi mancanti, erano in genere inseriti a fusione ultimata e dovevano essere realizzati in pasta vitrea o pietra colorata, mentre i capezzoli sono i rame.

Stilisticamente, sia per quanto concerne la realizzazione del corpo che per la postura del presunto atleta, la statua sembra riferibile ad ambito peloponnesiaco, e qualche esperto ha azzardato l'attribuzione della stessa a Lisippo, celebre scultore originario di Sicione, o comunque a un suo allievo. Appartenente in origine presumibilmente a un gruppo scultoreo celebrativo collocato in un santuario di grande importanza per l'intero mondo greco antico come Olimpia o Delfi, secondo alcuni studiosi l'opera d'arte naufragò nell'Adriatico insieme alla nave che la stava trasportando dalla Grecia continentale alla penisola italiana, forse, visto il luogo di ritrovamento, verso il porto di Ancona.

Una volta rinvenuta, la scultura, dopo una serie di vicissitudini, fu acquistata dalla Fondazione Getty nel 1977 per la cifra di 3,98 milioni di dollari. L'Italia e la regione Marche hanno cercato in più di un'occasione di riportare l'opera d'arte a casa, ma la Fondazione ha sempre rispedito al mittente le richieste sostenendo l'impossibilità di stabilire con precisione il luogo del recupero.

Il tribunale di Pesaro ne ordinò il sequestro e la restituzione nel 2010, nell'ambito della campagna italiana per il recupero delle antichità saccheggiate dal territorio nazionale e poi rivendute a musei o collezionisti di tutto il mondo. La fondazione ha impugnato la sentenza, dando vita a un lungo contenzioso, ma il suo ricorso è stato rigettato nel 2018 sia dal giudice dell'esecuzione del Tribunale di Pesaro che dalla Corte di Cassazione.

Ora è la Corte di Strasburgo a dare ragione all'Italia, riconoscendo la legittimità della sua azione legale, ribadendo che la tutela del patrimonio artistico e culturare di un Paese"è un obiettivo legittimo ai fini della Convenzione" e sottolineando il fatto che che "a causa della negligenza o della malafede del Getty Trust nell’acquistare la statua – nonostante fosse a conoscenza delle rivendicazioni

dello Stato italiano e dei suoi sforzi per recuperarla – il provvedimento di confisca è stato proporzionato all’obiettivo di garantire la restituzione di un oggetto che faceva parte del patrimonio culturale italiano".

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