Per l'autopsia la morte di Panaiia è accidentale. Ma ecco perché la verità non la sapremo mai

I contorni esatti di quanto accaduto, salvo improbabili colpi di scena, a questo punto sono destinati a restare per sempre solo mere ricostruzioni ipotetiche

Per l'autopsia la morte di Panaiia è accidentale. Ma ecco perché la verità non la sapremo mai
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«L’acqua che ha riempito i polmoni ha portato a una grave insufficienza respiratoria e quindi alla morte». Lo dice l’autopsia: è morto annegato Gino Panaiia, il 25enne milanese scomparso la notte di Halloween a Zibido San Giacomo e ritrovato cadavere il 7 novembre nel Naviglio Pavese, al confine tra il comune di Casarile e la provincia pavese. Nessuna aggressione, nessun delitto quindi. Oramai si può dedurre che la morte del ragazzo sia stata causata da una fatalità, da un incidente: in preda ai fumi dell’alcol il povero Gino sarebbe caduto nel canale che da Milano torna al Ticino; non riuscendo più a risalire a riva - e probabilmente colpito da un malore che ha reso impossibile qualsiasi tentativo da parte sua di salvarsi - sarebbe annegato in un metro e mezzo d’acqua. Tuttavia è chiaro che i contorni esatti di quanto accaduto, salvo improbabili colpi di scena, a questo punto sono destinati a restare per sempre solo mere ricostruzioni ipotetiche.

La sera della sparizione

Il 25enne era sparito la notte tra giovedì 31 ottobre e venerdì 1 novembre dopo aver trascorso la serata in un bistrò a Zibido San Giacomo. Poco prima dell’1.30, molto ubriaco, nonostante i consigli degli amici che lo avevano invitato più volte a desistere, è salito in sella al suo Piaggio Liberty 125, per tornare a casa del padre (che abita alla Barona), o raggiungere la casa della fidanzata nella vicina Badile.
Non è chiaro perché abbia imboccato invece la stradina che porta da un lato alla Cascina Casiglio dall’altro sull’Alzaia pavese. All’1.33, Gino ha risposto all’ultima telefonata della fidanzata, rassicurandola di essere «quasi arrivato a Vigevano», una meta irraggiungibile in così breve tempo (ma dobbiamo ricordare che il ragazzo era davvero molto ubriaco, come hanno testimoniato gli amici). Dopo altri 49 minuti, alle 2.22, il cellulare del giovane ha agganciato per l’ultima volta una cella telefonica della zona di Cascina Casiglio. Da quel momento, il silenzio.

Le ricerche e il ritrovamento

Due giorni dopo la scomparsa del ragazzo, erano stati ritrovati lo scooter su cui viaggiava, il casco, il giubbotto e il portafogli. Oggetti sparpagliati a decine di metri di distanza l’uno dall’altro, lungo un sentiero che conduce alla cascina Casiglio. Attorno a mezzogiorno del 7 novembre, grazie alla segnalazione di un pescatore, il suo cadavere supino è stato ripescato a cinque chilometri da quei resti, nelle acque del Naviglio al confine tra Casarile (Milano) e Rognano (Pavia).


Il carico di droga e la pista dello zio

Sulla ricostruzione dell’intera vicenda ha pesato anche il ritrovamento nella cascina Casiglio, proprio durante le ricerche di Gino, di un borsone con una ventina di chili di eroina. Per ora però i due fatti - la scomparsa e la morte del 25enne e il rinvenimento del carico di stupefacenti da 400mila euro - avrebbero semplicemente un nesso temporale. Con l’esito dell’autopsia a fugare dubbi proprio su una eventuale lite e una successiva aggressione causata da divergenze sulla droga, come si era ipotizzato.

Una pista avvalorata dal legame con il traffico di stupefacenti dello zio del giovane, Iginio Panaiia, 60 anni, ex boss del narcotraffico, protagonista, nel 2013, di una faida con il clan di Vito Magrini. Ma questa, al momento, sembra essere proprio tutta un’altra storia.

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