
La caserma Vannucci di Livorno, con la scritta “Folgore” che guarda verso il mare, è la casa di tutti i paracadutisti. È lì che è stata aperta la nuova sede di Anie, l'Associazione Nazionale Incursori Esercito, intitolata al generale Valdimiro Rossi. E, forse, non poteva essere diversamente.
Il piazzale antistante la base si riempie in fretta. Dalle auto scendono uomini di tutte le età, giovani e meno giovani e, il rituale, è sempre lo stesso: un abbraccio, una stretta di mano forte e sincera, e poi il fiume dei ricordi che corre veloce. “Quella volta ce la siamo vista brutta eh”, la baracchina bianca e quella rossa con la loro concorrenza e le loro attrattive sinuose e locali, i lanci, le missioni e pure le bravate. Perché un po’ scavezzacollo devi esserlo per fare questo mestiere.
L’occasione è grande, non solo per rivedere vecchi amici, camerati si dovrebbe dire sfidando un po’ il politicamente corretto e usando una che, più che con la politica, ha a che fare con la vita militare. Quella dove si è tutto il giorno spalla a spalla e dove si è fratelli in armi. Perché si nasce insieme tra mille fatiche e si va avanti insieme. Del resto, il termine latino humanitas, contrariamente a quanto insegna un certo pensiero, non si diffonde nell’antica grazie al teatro ma dopo la battaglie di Canne, quando l’esercito dell’Urbe subisce una delle più grandi sconfitte e l’unico modo per uscirne, è quello di ripartire da zero, dall’uomo che combatte al tuo fianco. Spalla a spalla. O, come diranno tanti secoli dopo in Afghanistan in un contesto non troppo dissimile, “Shana ba shana”. È dall’uomo che sta alla tua destra, dal riconoscerlo come tale indipendentemente dal suo colore o dal suo credo, che nasce la verità humanitas, il saper soffrire e vivere per chi hai accanto. Tutto questo giro di parole per provare a far comprendere il rapporto che gli ex incursori ora appartenenti ad Anie provano tra loro. Ed è impossibile comprendere la nuova sede, senza aver presente questo legame. Renato Daretti, presidente dell’associazione, ci spiega: “Avere una base su cui radunare persone che hanno avuto differenti esperienze addestrative e operative per poterle raccontare e mettere insieme è fondamentale. Il Nono Reggimento Col Moschin è nato nel 1953 e ha fatto, senza ombra di dubbio, la storia dei reparti in Italia dal Dopoguerra ad oggi. E questo in termine di attività, visione futura delle cose e audacia. Molti reparti possono mettere molte esercitazioni, ma il Nono è nel controterrorismo dal 1961 ed è sempre stato il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via in ogni teatro in cui il nostro Paese ha partecipato. Per noi conservare la memoria storica è fondamentale e il luogo è strategico”. Ma non solo. Prosegue il presidente di Anie: “L’idea di stare vicino al Reparto è stata molto importante a livello vitale dell’associazione. Il fatto di essere in una caserma dove il Nono si è sviluppato e dove rimarrà ancora per qualche anno, è importante per la simbologia e per gli uomini che tornano nella casa dove hanno passato tanti anni della loro vita. Siamo gli unici a stare in una caserma”.
Il cuore di tutto è il legame. E, non a caso, spiega Daretti: “Tutti gli uomini che transitano dal Nono hanno delle qualità intrinseche, ma se non fossero passati da qui, quelle capacità sarebbero state usate da un'altra parte. Con il Nono reggimento le qualità dell’individuo hanno trovato la piattaforma per potersi sviluppare. Molti di noi hanno fatto esperienze uniche e impensabili. Questa associazione non conta solo su un anno di leva, ma su decine di anni di vita insieme, crea un legame particolare.
Oggi c’è la memoria storica del Reggimento, dai novantenni in giù. Tutti mantengono un grande legame col reparto e l’associazione”. Un legame che questi uomini, che sembrano non essersi mai tolti la divisa, conservano negli occhi. E che li aiuta a riconoscersi a vicenda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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