Gli ultimi momenti di Nicola Calipari: così è stato ucciso un servitore dello Stato

Vent'anni fa veniva ucciso il numero due dell’intelligence militare in ambito operativo delle missioni all’estero

Gli ultimi momenti di Nicola Calipari: così è stato ucciso un servitore dello Stato
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Ci sono persone che servono la Patria nell’ombra. Che possono proteggere l’Italia solamente agendo come fantasmi senza nome. Che non possono farsi vedere. Che hanno fatto un giuramento che li impegna quotidianamente. Sono gli uomini (e le donne) dei nostri servizi segreti.

Quando sappiamo il loro nome, spesso, è perché è troppo tardi e hanno pagato il sacrificio più alto: quello della vita. Tra questi uomini ce n’è uno che, in questi giorni, merita di essere ricordato, Nicola Calipari, di cui ieri si ricordavano i vent’anni della morte per mano di un soldato americano in Iraq. La sua vita è esemplare e la riportiamo usando come guida la “Bibbia” di chiunque voglia approcciarsi a questi temi, Servizi di informazione e sicurezza. L'evoluzione dell'intelligence italiana dall'unità d'Italia alle leggi n 124/2007 e 133/2012, scritto da Thomas Saintclaire, uno pseudonimo (e non poteva essere diversamente) di un uomo che conosce molto bene questo ambiente attraverso le fasi più salienti della recente storia nazionale.

Nicola Calipari, quindi. Investigatore, uomo dei servizi segreti, numero due dell’intelligence militare in ambito operativo delle missioni all’estero. Nel 2005 si trova a Baghdad. Anzi, si trovava lì ormai da tempo, dagli ultimi frangenti dell’invasione della Coalizione a guida americana dell’Iraq con la conseguente scomparsa del regime di Saddam Hussein. È lui a condurre le trattative per liberare Simona Pari e Susanna Torretta. È lui che prova a liberare, ma senza alcun esito, Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni. E sarà ancora lui a salvare Giuliana Sgrena. La sua ultima missione, prima di essere ucciso. Così viene descritta l’operazione in Servizi di informazione e sicurezza: “Presa in consegna da Nicola Calipari, egli la condusse a bordo di un’auto Toyota Corolla (appositamente scelta per passare inosservati) guidata dal maggiore dei Carabinieri Andrea Carpani - anche lui in forza al Sismi”. L’auto si dirige verso la Route Irish, dove sono presenti molte truppe americane a presidiarla. Ed è a questo punto che Mario Lozano, soldato del 69° Reggimento “Irlandese” dell’US Army National Guard, “esplode improvvisamente una lunghissima raffica di mitragliatrice”. La ricostruzione fornita dagli americani cozza con quella del nostro Paese. Loro dicono che l’auto viaggiava a luci spente e a velocità sostenuta ma un filmato, quindi una prova, li smentisce clamorosamente. Da tempo, inoltre, sottolinea Thomas Saintclaire, il governo statunitense “aveva espresso più volte accese critiche nei confronti dell’intelligence italiana, ritenuta troppo accondiscendente nel trattare con i terroristi il rilascio dei cittadini italiani rapiti attraverso il pagamento di ingenti riscatti, prassi ritenuta dagli americani altamente pericolosa”.

Gli americani investigano, ma è più facciata che sostanza. Quando il mezzo su cui viaggiava Calipari arriva in Italia è ormai troppo tardi: “I risultati dell’esame probatorio erano ormai inattendibili”. Moriva così, oltre a un uomo dello Stato, anche la verità.

“Il servizio perdeva, con la sua morte - chiosa l’autore di Servizi di informazione e sicurezza - uno dei suoi migliori elementi, e a riprova di quanto importante fosse il suo operato, ha deciso di intitolare alla sua memoria la centrale “storica” di Forte Braschi, fino al 2007 sede dell’intelligence militare ed ora dell’Aise”.

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