«Negli ultimi tempi parlavamo di Dio»

da Roma

È d’una serenità, che sfiora l’allegria Enrica Fico, vedova Antonioni, quando accetta di ripercorrere, insieme a noi, la «Cronaca di un amore». Il suo e quello di Michelangelo, il maestro di Ferrara, col quale ha vissuto da moglie e maieuta, da collega e infermiera, da amante e apprendista anni pieni di tacita armonia e di lavori condivisi. Siamo nella luminosa casa della coppia, sulla collina Fleming elegante, mentre le cicale tormentano l’aria immobile. Ci si mettono anche i telefoni e chiunque proverebbe angoscia: l’adorato marito, sposato nella parrocchia del quartiere il 30 ottobre dell’86 («la stessa data di nozze di Federico Fellini e Giulietta Masina») è di là, composto per l’esposizione in Campidoglio («stanotte era tutto mio, ora è di tutti»); c’è da gestire la confusione post mortem del personaggio noto, ordinare i ricordi, serrare le fila di un’esistenza complessa. Tanto più che la prossima «Notte bianca» aprirà i battenti con un omaggio ad Antonioni. Ma lei, Enrica la milanese, figlia di partigiani; la vedova bionda, regista del documentario Con Michelangelo, ripreso mentre dipinge, sorride come avesse un segreto.
Non le sembra singolare che suo marito sia scomparso, a ruota di un altro maestro, Bergman?
«Nulla accade per caso: le due morti sono di una simbologia enorme. E ho pregato molto, perché Michelangelo andasse via il giorno della luna piena di luglio e ottenesse, dunque, le più grandi benedizioni. E così è stato: una morte magnifica, di un grande essere».
Una credente al fianco di un ateo?
«Sono una mistica e ho pregato in tanti modi: lassù, hanno sentito le mie preghiere e mio marito se n’è andato nel giorno più potente. Negli ultimi tempi, assillavo Michelangelo con le mie domande: che cosa c’è, dopo la morte? E lui: non lo so. E, ancora: ma tu, credi in Dio?. E lui: forse».
Come vi siete conosciuti?
«Avevo diciott’anni, uscivo dal Liceo Artistico. Un amico comune, il pittore Eugenio Carmi, chiese ad Antonioni di tenere a battesimo certe sue serigrafie, proiettate sul mio corpo. Michelangelo ne restò affascinato, volle conoscermi. Io, spirito ribelle e creativo, volevo lasciare Milano, per fare cinema a Roma. Fu colpo di fulmine. E destino: sul mio tavolo, da ragazza, tenevo fisso un libro: Zabriskie Point: studi a Milano. Invece di guardare le foto degli attori, pensavo: come fa, questo regista, a capire così profondamente la magia dell’animo femminile?».
Ha poi capito, qual era il segreto di quella precisione di scavo nell’animo delle donne?
«Antonioni ha un aspetto femminile: esteta fragile, ma energico, mi affascinò perché in grado di controllare me, rivoltosa, insegnandomi a mantenere la disciplina, nel lavoro. Era un lavoratore determinato, ma geloso dei sui movimenti di macchina».
Insieme avete firmato il discusso Eros e alcuni documentari: le trasmetteva i trucchi del mestiere?
«No: non spiegava certo. Non dava la posizione della camera, come fan tutti, per restare libero di cambiare. L’unica intuizione che m’ha trasmesso, riguarda l’ultima scena di Professione reporter.

Per Al di là delle nuvole, in Provenza, inventò un carrello con doppia curva, in discesa, di notte: restai senza fiato. So che qualcuno mi ritiene una pallida esegeta: ma dietro ogni uomo di valore, occorre cercare la sua donna».

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