"Nei Fratelli Corsaro rivedo pezzi della mia vita"

Il protagonista della fiction da oggi su Canale 5: "Nella trama litighiamo sempre ma ci vogliamo bene"

"Nei Fratelli Corsaro rivedo pezzi della mia vita"
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Due fratelli. Ovvero - come accade spesso, tra fratelli- due che sembrano fatti apposta per accapigliarsi. Uno è un cronista di nera con la sindrome di Peter Pan racconta Giuseppe Fiorello -. Senza un centro di gravità esistenziale e dagli affetti instabili. L'altro è un avvocato di successo: professionista realizzato, marito innamorato, una vita appagata». Due facce della stessa medaglia, però. Giacché, nonostante agli antipodi e in frequente lite fra loro, i due fratelli Corsaro «si vogliono un bene da matti. E quando indagano sullo stesso caso è proprio grazie all'unione delle loro due diverse personalità che giungono al risultato finale».

Insomma: ciò che ha spinto Giuseppe Fiorello ad interpretare, accanto a Paolo Briguglia, I fratelli Corsaro (quattro puntate tratte dai romanzi gialli di Salvo Toscano, dirette da Francesco Miccichè e da domani su Canale 5) è proprio l'insolita accoppiata attoriale. «Non più protagonista assoluto, ma in scena con un collega che stimo e col quale ho condiviso, come in una partita a tennis, il gioco comune».

Lei lo sa che le fiction con avvocati o giornalisti funzionano poco? E qui li avete addirittura uniti assieme.

«Fatti i debiti scongiuri rispondo che in I fratelli Corsaro non conta la professione dei protagonisti quanto il rapporto che li lega e, al tempo stesso, li divide. Il carattere dell'uno che è l'opposto di quello dell'altro; la reciproca gelosia per l'amore della madre; la disapprovazione per le rispettive scelte di vita. Eppure un affetto profondo. Tipica dinamica fraterna, insomma. In cui i fratelli con simili legami si ritroveranno».

Fondamentale, nelle rispettive indagini che i due conducono sugli stessi casi, è la loro città: Palermo.

«Questo è un altro dei motivi per cui ho accettato il progetto. Io sono di Catania e, incredibilmente, ero stato pochissimo a Palermo, solo di passaggio e per motivi professionali. Ora credo di conoscerla bene e non esito a dire che, come il mio personaggio, ne sono innamorato».

Eppure proprio il suo personaggio afferma che «Palermo è una città morta, dalla quale bisogna solo fuggire». Tema ricorrente, questo della fuga dalla Sicilia; sia a livello letterario che filmico.

«Ma il mio personaggio lo dice solo perché vittima di quell'amore disperato che, assieme ad un odio ricorrente, tanti siciliani nutrono per la loro isola. Oggi Palermo si è in gran parte scrollata di dosso la fama nera accumulata nei decenni scorsi. Però il mio personaggio è convinto che non si debba cadere nella trappola di ritenere definitivo e inalterabile questo miglioramento. E aggiunge in questa città si mangia e basta».

Cioè?

«Cioè si esagera con gli aspetti più superficiali del turismo di massa: è tutto un mordi e fuggi. Mentre gli aspetti più profondi e duraturi della nostra cultura vengono ignorati. O fanno fatica ad emergere».

C'è stato un periodo in cui Giuseppe Fiorello era il re della fiction televisiva. Ogni personaggio un trionfo. Poi sono seguito alcuni anni di distacco. Perché? Ha avuto difficoltà a gestire tanta popolarità?

«Questa è forse la percezione che ha avuto il pubblico, ma le cose sono andate diversamente. Quand'ero all'apice del successo ho avuto voglia di guardare anche in altre direzioni. Nel frattempo è anche cambiata, e molto, l'offerta televisiva. Poi ho sentito l'esigenza di debuttare nella regia, e ho lavorato a Stranizza d'amuri, il mio film d'esordio, per quasi tre anni. Ecco spiegato perché per un po' non mi avete visto».

Che novità ci sono su Tutto il mondo è paese, la fiction che ha interpretato ispirandosi a Mimmo Lucano, ora che sono superate le dispute legali che dal 2017 ne bloccano la messa in onda?

«Non ne so nulla, purtroppo.

Io l'ho vista una sola volta, sette anni fa. Ma credo che sarebbe ancora oggi un ottimo prodotto, perché racconta in modo brillante, anche in chiave di commedia, e non etichettabile ideologicamente, la storia di un magnifico visionario».

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