Il cielo è lo stesso, cambiano solo i colori che identificano le strutture. Rosso ruggine, il Residence Ripamonti di via dei Pini a Pieve Emanuele, rifugio da alcuni mesi di centinaia di disperati in fuga dalla guerra libica. Il verde, ad un paio di chilometri di distanza, del Golf & Country Club Castello di Tolcinasco, residenza e circolo esclusivo, dove per entrare la quota annua d'iscrizione è di 3500 euro. Ma loro Najib, Samir, Kalhed e i tanti altri, di questo angolo di paradiso dietro l'angolo ne hanno soltanto sentito parlare, e ad esso molti guardano magari con un futuro da caddy, portando le mazze o soltanto limitandosi a guardare l'erba dalla parte delle radici. «Magari potessimo trovare anche il più umile dei lavori al golf dicono alcuni faremmo di tutto, un po per guadagnare qualcosa, un po' per tornare a vivere». Già, tornare a vivere. Perché se in Libia e negli altri paesi in guerra da cui sono fuggiti potevano soltanto morire, sentendosi prigionieri e sottraendosi continuamente alle bombe, ad ucciderli a Pieve Emanuele è lozio e lincertezza del futuro. «Abbiamo rischiato la vita su un barcone per tre giorni, credendo in una speranza di nuova vita. Che però a tuttoggi non riusciamo neppure ad immaginare. Siamo giovani e vogliamo lavorare, per noi e le nostre famiglie; non vogliamo sentirci di peso per nessuno». Peccarto che la situazione in Italia e in Europa sia profondamente diversa da quanto avessero immaginato e un lavoro , per quanto umile, è difficile trovarlo. Dal 13 maggio sono stati accolti in 420 alle porte di Milano per una breve permanenza, in attesa di una migliore dislocazione. Doveva trattarsi di un alloggiamento temporaneo della durata di due settimane, in vista del trasferimento in altre strutture sino alla fine dell'anno. In realtà nessuno è in grado di sapere quando i profughi se ne andranno. «Attualmente ne ospitiamo 340 spiegano al Residence Ripamonti ; un numero inferiore rispetto al giorno del loro arrivo, quando abbiamo dovuto rendere disponibili 138 camere». Gli uomini in fuga dalle guerre non stanno comunque creando problemi; il paese li ha accolti con una solidarietà palpabile. Nel Residence vivono anche centinaia di uomini delle forze dell'ordine; una presenza che di per sé garantisce sicurezza e tranquillità. «Ci trattano bene e con molta umanità racconta Ibrahim, piastrellista di 24 anni - ; se possono soddisfano ogni nostro reale bisogno, e sempre con molta gentilezza, sia il personale dell'albergo, sia uomini e donne della Protezione civile e della Croce Rossa».
Il problema principale per questa piccola folla di rifugiati, originari del Corno d'Africa, della Nigeria, del Pakistan, la maggioranza dei quali occupati presso imprese e gasdotti libici, è quello dellinedia. Di rimanersene con le mani in mano tutto il giorno, senza sapere cosa fare, con l'unica eccezione per alcuni, di una breve partita a calcio nel campetto allestito dalla Protezione civile a breve distanza dal residence e per tutti della tv. Guardando in diretta cosa accade in Libia e sguendo la fine del regime di Gheddafi. Eppure di professionalità ne avrebbero da spendere. Tra di loro ci sono ingegneri, medici, falegnami, elettricisti, idraulici e muratori raccontano in albergo . Ad incontrarli seduti sul muretto del Residence o incrociandoli sotto i portici, ci si rende conto di come ci tengano a non apparire «brutti, sporchi e cattivi». Igiene e soprattutto cordialità. «Sono tutti giovani dai 20 ai 35 anni, in ottima salute e con tanta voglia di lavorare».
Nessuno di loro ha ancora le carte in regola. La regolarizzazione, come rifugiati, è ancora lontana così come la speranza di un lavoro per riempire le vuote giornate trascorse, paradossalmente, sotto lo stesso cielo del tanto e del niente, dove comunque volano gli avvoltoi.
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