Giorgio Vittadini
Doveva essere una vittoria clamorosa del centrosinistra con tutto il popolo schierato «finalmente» da una parte, ma, alla prova dei fatti, la vittoria si è giocata su una manciata di voti. Per l'ennesima volta, il popolo si è fatto beffa dei potenti. Come in America sul caso Bush-Kerry e come per il referendum sulla procreazione assistita, non ha eseguito gli ordini prestabiliti da un concentrato incredibile di interessi: una buona parte della stampa estera e della stampa italiana, rappresentanti del mondo dell'economia, intellettuali e registi à la page, cattocomunisti da sacrestia, il partito della rendita e quello del clientelismo, radicali e no global.
Il risultato annunciato era quello che sembrava emergere nelle prime ore dagli exit poll viziati dal fatto che la gente, stanca di essere presa in giro, non si è fidata degli intervistatori. E, così, i commenti tronfi e compiaciuti di politici (quantomeno un po' «imprudenti»), disegnavano le sorti di unItalia che aveva scelto di «liberarsi della dittatura» che l'aveva bloccata negli ultimi cinque anni. Invece è stato di fatto un pareggio con un piccolo vantaggio al Senato della Casa delle Libertà che, nonostante un numero di voti superiore al 50%, ha ottenuto una quota di seggi inferiore determinata dal sistema elettorale.
Ben diversa la situazione alla Camera in cui è stata la legge elettorale a trasformare un altrimenti impercettibile vantaggio dell'Unione in una consistente maggioranza parlamentare. Di più: la Casa delle Libertà ha riguadagnato in Piemonte, in Friuli, nel Molise, nel Lazio, in Puglia e ha consolidato la sua maggioranza in Lombardia, in Veneto e in Sicilia. Da notare che nelle aree più sviluppate e popolose del Paese la maggioranza è stata netta, se non addirittura schiacciante. Non è un caso. In quelle zone il consenso non deriva da partiti di plastica, lacchè, mezze figure e cortigiani che pure ci sono stati in questi anni. Lì il consenso deriva da un forte radicamento nel mondo produttivo, nelle realtà sociali, nelle aggregazioni ideali.
Queste realtà hanno a cuore la vita, la famiglia, l'educazione, il rilancio economico, l'ammodernamento del Paese, la difesa della libertà e di una pace che non sia un cedimento al terrorismo, la costruzione di un'Europa dei popoli. In poche parole questo consenso nasce dalla libertà e dalla sussidiarietà, che sono urgenti per quel rilancio dal basso di cui l'Italia ha assoluto bisogno. I segni non mancano: Draghi parla di ripresa, c'è fervore in mondi produttivi che disdegnano la rendita, Paesi come la Svezia e la Gran Bretagna abbandonano il welfare State e ci indicano la nuova strada maestra.
Ci vorrebbe subito un accordo tra le componenti realmente riformiste dei due schieramenti, che può trovare un luogo d'incontro nell'Intergruppo per la Sussidiarietà. Purtroppo, il risultato elettorale non aiuta: nell'Unione la componente riformista ha ceduto ai massimalisti e quasi il 20% del Parlamento sarà composto da esponenti dell'uno o dell'altro estremismo, fatto disastroso per unItalia che non ne ha certo bisogno. Soprattutto, alcuni leader dell'Unione invece di riflettere sulla difficile situazione che rischia di rendere ingovernabile l'Italia, si sono messi, alle 3 di mattina, a cantare vittoria come se godessero di ampie e solide maggioranze popolari. Sono gli stessi che, a differenza di Schröder, hanno imbarcato le componenti radicali che già li ricattano, e forse pensano di poter governare al Senato con qualche senatore a vita ieri baciapile, oggi no global. Non abbiamo bisogno di loro.
Occorre qualcuno che compatti le parti più responsabili di maggioranza e opposizione, che riunifichi il Paese e, sulla base di ciò che è più urgente, sappia affrontare la crisi economica, politica e, soprattutto, ideale che l'Italia attraversa. Occorre guardare alla risorsa più grande che resta all'Italia: un popolo che ha dimostrato, ancora una volta, di essere vivo.
Questa è la vera speranza: l'esperienza di novità che si pone nella vita quotidiana, nelle opere che si costruiscono, nelle proposte politiche che si fanno. Il resto, prima o poi, crolla senza lasciare traccia.
* presidente di Fondazione per la Sussidiarietà
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