Nepal: se ne va il Re, arriva Mao

La Costituente guidata dagli ex guerriglieri comunisti proclama la Repubblica e la fine di una monarchia al potere da 239 anni

Cade il re e arriva Mao, anche se i suoi adepti in Nepal si presentano con il «volto umano» di un nuovo socialismo reale del XXI secolo. Ieri si è riunita a Kathmandu l’assemblea costituente, dominata dagli ex guerriglieri maoisti che hanno insanguinato il paese con una guerra civile durata 10 anni e costata 13mila morti. Nonostante il ritardo nella convocazione e tre bombe esplose all’esterno del Parlamento il Nepal è stato proclamato Repubblica, dopo 239 anni di monarchia.
Per le strade fin dal mattino sfilavano migliaia di giovani maoisti sventolando bandiere rosse. «È il giorno della vittoria del popolo. Con la repubblica abbiamo ottenuto l’obiettivo per cui ci siamo battuti», ha dichiarato Kamal Dahal, un ex ribelle di 22 anni. Diecimila i poliziotti incaricati di controllare l’ordine pubblico, ma i maoisti avevano concentrato nella capitale anche 20mila militanti, della loro organizzazione giovanile. Ancora inquadrati come unità paramilitari i giovani maoisti sono accusati di violenze ed intimidazioni nei confronti degli oppositori.
A perdere tutto è la monarchia nepalese di re Gyanendra. Secondo la leggenda la dinastia deriva dalla reincarnazione di Visnu, una delle più importanti divinità induiste. Il re, ha stabilito il nuovo governo, ha due settimane di tempo per abbandonare il suo palazzo rosa a forma di pagoda, che verrà trasformato in museo. E secondo indiscrezioni il mal sopportato Gyanendra ha già lasciato la capitale con la consorte Komal. A voler la fine della monarchia sono anche il partito del Congresso e quello Comunista di dottrina marxista-leninista, battuti dai maoisti nelle elezioni di aprile.
Il vincitore è Pachandra, al secolo Pushpa Kamal Dahal, spietato leader della rivolta armata maoista. Oggi, a 53 anni, presenta il «suo volto umano», ma tradisce le aspirazioni da «piccolo timoniere». Punta ad un sistema presidenziale forte e federale, con lui a capo dello Stato. Il ritardo nella proclamazione della Repubblica è stato dovuto proprio ai contrasti con gli altri partiti sull’elezione del primo presidente. Nel 2006 Pachandra ha rinunciato a fondare la Repubblica maoista con la forza delle armi. Al potere ci è arrivato lo stesso e sostiene di rispettare il multipartitismo, per ora. In una recente intervista all’Espresso ha dichiarato di voler essere ricordato «come un neocomunista non dogmatico che ha cercato di capire i cambiamenti del mondo per creare un nuovo e inedito modello di socialismo per il XXI secolo».
I suoi innalzano ancora i ritratti di Mao, Marx e addirittura Stalin. Lo stesso leader ammette che la democrazia borghese «non è un totem» e si può migliorare con una «rivoluzione economica» ed una «riforma agraria» da maoisti del futuro.

Ci ha pensato il suo vice, Baburam Bhattarai, ammiratore del gruppo armato peruviano Sendero Luminoso, a mantenere il verbo della lotta di classe che ha fatto presa su larghi strati della popolazione. Pachandra vuole anche integrare i suoi ribelli, a migliaia ancora in armi, nelle forze armate. Peccato che gli Usa non li abbiano ancora cancellati dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

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